Google This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pari of a project to make the world's books discoverablc online. It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover. Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the publisher to a library and finally to you. Usage guidelines Google is proud to partner with librarìes to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to prcvcnt abuse by commercial parties, including placing lechnical restrictions on automated querying. We also ask that you: + Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for personal, non-commerci al purposes. + Refrain fivm automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encouragc the use of public domain materials for these purposes and may be able to help. + Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpcoplcabout this project and helping them lind additional materials through Google Book Search. Please do not remove it. + Keep it legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other countiies. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any specific use of any specific book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe. About Google Book Search Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web at |http: //books. google .com/l Google Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro clie non è mai stato protetto dal copyriglit o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. Linee guide per l'utilizzo Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate. Inoltre ti chiediamo di: + Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Googìc Ricerca Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. + Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. + Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. + Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. Informazioni su Google Ricerca Libri La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed edito ri di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web nell'intero testo di questo libro da lhttp: //books. google, comi TEATRO SCELTO DI GUGLIELMO SHARSPEARE -►>^!^>-S>5^@^3^ VOLUME IL GIULIO CESARE GIULIETTA E ROMEO GIULIO CESARE TRAGEDIA GUGLIELMO_SHARSPEARE TRADUZIONE GIULIO CARCANO COI TIPI DI LIIICI DI GItCOKO PDIOlA ■DCCCXLTII. /i j^/cr, 4. 9 uJnjLc^i.'^^XZ^i . La presente è posta sotto la salvaguardia delle Leggi e de' Trattati tlgenti. Amico ì Lasciami scrivere il tuo nome in fronte di questo volume. iVb/ GIULIO CESARE, sublime o- pera poetica e storica ^ sì riflette meglio che in qual sia altra dello Shakspeare quel hello seni* plice e antico di die tanto li piaci e eli è ù gran parie del vero. Uniti già per molt' anni da quel consenso degli animi j die non nasce da vane attinenze^ ma dalla somiglianza degli studj die amendiie amiamo^ divenne per noi quasi necessità il comunicarci ogni nostra pagina ed ogni verso. Tu^ per il primo^ mi confortasti a rendere italiane alcune delle immortali creazioni del Sommo Inglese; né io certamente j senza la scorta del tuo consiglio e del tuo squisito buon gusto^ mi sarei messo alla difficile prova. E però le primizie di codesto mio lay^oro sono cosa tua. 9 Così potessi meglio significarti l'opzione mia! Ma tu sai che l' espressione del mio animo èj se non altro j sincera; e di' io disprezzo chi s^ ac- contenta j come diecina il tuo Monti_, degli og" getti imbellettati ed ama piò, uno sfarzoso gira-- sole che una rosa circondata di spine. — Addio. Milano j a 7 di giugno 1847. Giulio Carcano» J.I poeta altamente inspirato vede le ragioni della storia eoli' occhio dell'anima creatrice, pe- netra, ne' misteri del passato, ridona il pen* siero, la vita e la parola agli uomini d'un ai- tilo tempo e, direi quasi, d'un altro mondo; e sa per questa via rivelare alla mente che li com- prende, al cuore che li sente, i fatti più mara- vjgliosi e più grandi della umanità. Poi soprav- vengono l'indagine dello storico, la meditazione del filosofo, e l'analisi del critico; le quali, ad- ditando le origini di que' fatti, discutendone le cause e le conseguenze, raccogliendo lutto ciò che meglio giova a pesarli sulla bilancia della ragione, riescono alla conferma di quel vero che prima s'affacciò alla poetica divinazione. Questo fecero, tra gli antichi, que' pochi di- vini intelletti, i nomi de' quali, di secolo in se- colo, diventano sempre più grandi; questo fece, al par di loro, lo Shakspeare. E ne sieno prova i tre drammi che gli furono inspirati dalla ro- mana' istoria: Corìolano^ Giulio Cesare^ Antonio e Cleopatra. In questa trilogia drammatica, il poeta ha fatto rivivere, qual essa fu veramente, l'antica Roma e gli uomiai più famosi della sua storia. Egli lesse Plutarco, e nei solenni e semplici racconti del filosofo di Gheronea trovò quanto gli bastava per dar novella vita a quel tempo immortale, in cui tutta si vide la gran- dezza di Roma libera e de' suoi liberi figli. La tragedia del Giulio Cesare, condotta con grande perfezione, a torlo censurata dal Voltaire e da altri critici, perchè vi sia in certo. modo duplice l'azione, e perchè Bruto anziché Cesare ne sia l'eroe, è quella, a parer mio, in cui lo Shakspeare meglio seppe rianimare sotto agli occhi nostri le belle e sublimi figure dell' anti- chità. Nulla più tocca, nulla persuade meglio che questa poesia dello Shakspeare è tutta vera, quanto il leggere le severe pagine di Plutarco, dopo letta la sua tragedia. Il poeta seguì la storia con fedeltà maravigliosa; e colF esempio suo, quasi senza saperlo, ha troncato per sem- pre il nodo di quella questione d'estetica, se e fino a qual punto il dramma debba tener dietro alla storia. Quando 1' inspirazione è ' grande e verace , la poesia sola può dare a*, per- sonaggi della storia quel soffio possente di vita che la più attenta e scrupolosa investigazione di tutti i volumi del passato non sapranno mai risvegliare. Lo storico, al par del filosofo, di- mostra; il poeta, crea. Roma , al tempo di Goriolano , quella Roma guerriera, insoiferente d'ogni freno, ambiziosa e pur già conturbata dalla violenza delle fa- zioni e dair urto delle classi patrizie e citta- dine rivali fra loro e gelose del potere, vide finire le maladette gare di parte nel sacrificio di quell'eroe, che moriva per la spada degli stessi nemici di Roma da lui già vinti e poi condotti contro la patria sua. Il popolo , nel primo ardente amore di libertà, aveva bandito CoriolanOj solo perchè avesse osato di toglier- gli i suoi tribuni ; ed una legge statuita /ra nobili e plebei tornava per poco tempo in cal- ma questi due ordini di cittadini, fra' quali, in ogni secolo e in ogni paese, non fu giam- mai ne riconciliazione, né pace sincera. Invano Roma ha veduto innalzarsi un tempio alla Con- cordia; invano la sua potenza andò crescendo a dismisura; le terre conquistate e i popoli fatti tributar] gli fruttarono, con una soverchia ric- chezza, il germe della civile rovina. Una Roma grande, gloriosa, e composta di liberi e servi, non poteva durare. Le fazioni rinascono ; un' o- scura, disprezzata classe, che forma la più gran parte de' cittadini, comincia a fremere sorda- mente soJtto il braccio ponderoso che la preme. Per la seconda volta la repubblica è straziata dalla guerra servile; il gladiatore, che primo aveva gridato: Se devesi combattere, si com- batta contro i nostri oppressori! da eroe morì; e il sangue di Spartaco non potrà essere ven- dicato che dal sangue di Cesare. Ormài in Roma, non è più la lotta de'pa- trizj e de'plébei, ma quella della foi*za aristo* cratica e della forza popolare : non più due classi j ma due prìncipj stanno a fronte 1' uno dell'altro. Al tempo de' Gracchi, i patrizj solfo* carono nella strage la nascente grandezza del popolo; ma il popolo aveva conosciuto il pro- prio nerbo; e Mario ne fece poi, per non breve stagione, trionfare la causa» Ella er^ però se- menza d'odio che dava sanguinosi frutti; prima la guerra sociale, poi la guerra civile. Siila rove- sciò Mario, e con Mario cadde la parte popolare: Pompeo fu vinto da Cesare a Parsalo; e la ca- duta del console aperse la via al trionfo del dittatore. Ma Cesare non soggiogava la repubblica per guarire i mali che l'avevano guasta e condotta quasi a morte; egli sentiva il bisogno di do* minare; e quell'ambizione che già l'aveva so* spinto sempre innanzi di vittoria in vittoria^ gli dava la coscienza della propria forza e gran- dezza, gli faceva parer lecita qualunque via lo conducesse al sommo potere, ch'egli ambiva da gran tempo e che stimava forse il solo rime- dio alle grandi sciagure di Roma. La condizione della repubblica era venuta a tale che Cesare doveva creder facile il cancellare ogni avanzo delle forme di popolar reggimento. Dopo la bat- taglia di Parsalo, egli era stato acclamato ditta- tore per un anno ^ e console per cinque anni; ot- tenne di poi il potere tribunizio e il diritto di pace e di guerra; diritto che fino allora aveva sempre appartenuto ai Comìzj; infine fu salu- tato* col nome d'Imperatore. Per farsi Re non gli mancava più che la corona. — Ed eo0o che la guerra più non è tra popolo ed aristocrazia; bensì tra monarchia e repubblica; ecco i due principj a fronte uno dell'altro. E l'ultima prova di Roma libera; poiché la repubblica non cadde a Roma; ma a Filippi. Cosi mal veggono, a mio senso, coloro i quali dicono che lo Shakspeare avrebbe dovuto fi- nire la sua tragedia colla morte di Cesare; ben più sublime e più vasta fu la tela ch'egli prése a svolgere. Scriver)do una delle più grandi pagine della romana storia, egli pensava alla stòria della umanità: il suo tema non è Cesare che cade sotto il pugnale de' congiurati appiè della statua di Pompeo; è Roma che muore con Bruto sul campo di Filippi. E qui è da no* tare che l' azione , benché di lunga durata, può dirsi complessa, tanto cammina rapida e ga- gliarda. - Upton calcolò lo spazio del tempo che essa percorre: alla metà di febbrajo dell'anno yog di Roma successero le feste de' Lupercali in onore di Cesare, in cui Antonio gli profierse la corona di Re; alla metà del marzo dell'anno medesimo, Cesare fu ucciso. A' a^ di novembre dell' anpo 710, i Triumviri convennero in un isoletta dal fiumicello Reno, presso Bologna^ e là diedero mano alle proscrizioni. Neil' anno ^fi, Bruto e Cassio furano rotti a Filippi. I pochi ma sublimi frammenti delle pa« gine di Plutarco cosi piene di semplicità e di filosofa, che a studio raccolsi dalle vite di Ce- sare, e di Bruto, e cbe pongo in appendice alla tragedia, dimostrano, a chi ha intelletto e cuore, quanta grandezza c'è nella storia, quanta poesia c'è nella verità. E chi questo vede non potrà certamente non sentii*si com^ mosso dai più alti e nobili affetti, vo'dire, dall'amor della patria e degli uomini; e dovrà confessare dopo letta questa tragedia, che nes- ' sano, meglio dello Shakspeare, avrebbe saputo con una cosi profonda conoscenza del vero e in uno con tanta altezza di poesia rappresen- tare nel Giulio Cesare la caduta della libertà di Roma. La stupenda dipintura de' caratteri di Bruto e di Cassio, di Bruto eh' è veramente l'anima repubblicana , e di Cassio che figura Y ultimo di que' romani frementi contro il potere; le bellissime scene del forte e sensitivo amore di Porzia; quelle in cui veggiamo Antonio da vile cortigiano di Cesare diventare con modi si a- stuti amico de' congiurati e adulatore del po- polo, per gittar poi la maschera e aver la sua parte nelle vendette civili e nella nuova tiran* ' nia; tutto ciò, e più di tutto, l'andamento sem- plice, naturale, grandioso d'ogni atto, d'ogni sceua, mi fanno persuaso che sia questa una delle più nobili e perfette fra le tragedie dello Sbakspeare. Il poeta segue lo storico, ma tutto ciò ch'egli tocca, vive ed è sublime. Quanta sapienza del vero si rivela nell'alto concetto di quelle due fiere anime romane di Bruto e di Cassio! Quanto grandi amendue e quanto diverse! Bruto opera per forza di mente e «per la interiore persuasione indotta nell'ani-, mo suo dal fatto al paragone del principio che lo guida: è filosofo, e però medita, si consiglia con sé medesimo, non si abbandona alla foga della passione. Cassio invece è veramente cospi- ratore ed uom politico; eg(li istiga e rimesta, , adopera l'arte. e la forza; nutre rancore contro di Cesare, e però la prima volta che ne ragiona a Bruto, sapendo ch'egli lo ama, glielo mette innanzi come un uomo debole, malato, il cui pome non suona diverso dal suo, e che pur si crede un dio. Bruto non risponde che una pa- rola, ma a Cassio basta; poiché gli ha letto nel fondò del pensiero. L' uno si ritira nella propria casa a meditare, l'altro s'aggira per le vie di Ro- ma e sollecita i congiurati in mezzo alla notte tempestosa: pare che le furie del cielo accre- scano quelle del suo cuore. Dal momento che Cassio gli parlò di. Cesare, Bruto non trovò più sonno. Ciò ch'egli sente dentro di sé, la memoria de' suoi maggiori, l'aspettazione di Roma, tutto lo persuade contro di Cesare; eppure egli prova. direi quasi, un arcano terrore della congiura. Ma gli amici sopraggiungono ; e Bruto e Cassio si parlano sommesso, in disparte. E vano il dire, a chi non la sente da sé, la bellezza ve- ramente antica di codesta scena; i due grandi romani si parlano in segreto , e gli altri sanno che dalle loro parole pende ogni cosa : in que- sta pausa tremenda, essi non contraccambiano .giuramenti e promesse, ma guardano da qual parte sta per sorgere il giorno aspettato. Poi Bruto parla, e la sua voce governa quegli spi- riti impazienti: Cassio e i compagni lo rico- noscono ormai per loro duce nell'alta impresa. E chi non vede in Porzia la vera ed onorata sposa di Bruto? ella s'inginocchia dinanzi al marito, s'attrista, supplica e vuole: no, Bruto non terrà ascoso il proprio segreto alla 6glia di Catone. Nelle scene che presentano l'ingresso del Se- nato, gV interrotti discorsi de' congiurati , la domanda di Metello Cimbro, e la morte di Cesare, noi vediam seguiti con mirabile verità i particolari della storia , a' quali il poeta seppe aggiungere tutta la vigorìa del dramma. E qui giova notare un' accusa che gli fu data sul modo con cui dipinse il carattere di Cesare: dicono ch'egli lo presenta, non già quale appare ne' suoi Commentar) , ma come un uomo ambi- zioso all' eccesso, vano del potere, e che nulla opera in tutta la tragedia.. Parecchi critici inglesi notarono che il difetto del carattere di Cesare è il difetto capitale del dramma; ma, quaod'anco sì possa per avventura credere che lo Shakspeare abbia in questa parte rafforzate alcun poco le tinte del soggetto, è però giusto avvertire che per tutto il tempo in cui dura l'azione, Ce- sare non è più il vincitore delle Gallie, delle Spagne e dell' Africa , colui che salvò Roma dalla guerra civile, ma bensì l'uomo che si trova in possesso d'un autorità non contrastata, e che da gran tempo è preoccupato e vinto egli stesso dall'ardente desiderio • del nome di Re. — a Ma sopra tutto, dice Plutarco , il de- siderio di regnare gli levò contro invìdia «d odio capitale. — » Ed epco il Cesare che il poeta voleva; ecco quale ce Io dipinse. A lui, di Re non manca che il nome: circondato da tutti i privilegi della somma potestà, non è pago; una traccia di malcontento gli sta sulla fronte; sospetta e teme, quantunque si sforzi di provare ch'esso, al par d'un leone, abbatte il pericolo; è combattuto a un tempo dal ti- more e dall'orgoglio; ed è quest'orgoglio ap- punto che lo conduce, non curante d'ogni si« nistro presagio, alla sua fine. L'uomo che volle esser fatto Re è caduto: e r uomo che a cotanta ambizione non vide altro rimedio che la morte, sente d' aver compiuto il debito suo; allo sdegno profondo, alla forza del cittadino affetto, succede in lui una calma austera , poi una specie d' incertezza^ £ su- blime ciò che il poèta gli fa dire, subito dopo la morte di Cesare, agli assembrati romani, quando grida che tutti bagnino le mani entro quel sangue, e v'intridano le spade, e corrano poi nel Foro a gridar pace e libertà ! A quest' im- peto segue, naturale conseguenza d'ogni fatto umano, la riflessione, e direi come un morale spossamento. Bruto ha bisogno di mostrare agli occhi di tutti i romani la giustizia che il mosse al grande atto; e però consente di ve- nire in certo modo al paragone d* Antonio , concedendogli di dare onorevole sepoltura al ^ cadavere di Cesare; ma riserbando a sé mede- simo il render ragione della morte di lui al cospetto del popolo. Pure Antonio, astuto, sa- gace, eloquente, senza alcuna coscienza di pa- tria e di libertà, ben vede che il momento di sollevare il popolo contro coloro che ne vin- sero la causa p quello; egli risponde airucci- ' sore di Cesare; e la sua oratoria sottigliezza, altro mirabile esempio d'una verità piena di concetto, conduce a poco a poco la moltitudine a gridare vendetta contro di quel Bruto, a cui poco innanzi, quasi delirando, aveva gridato nella prima baldanza del sentirsi libera: Ch'e- gli sia fatto Cesare! Qui cessa il contrasto de' due opposti principi, la libertà e il potere, e comincia quello delle persone: Roma repubblica non è più; ora deb- b' essere la Roma d'Antonio, o la Roma d'Ot- I * tavio. La più 6er£i pittura dell' egoismo poli- tico è ia quella breve scena in cui il poeta ne addita i Triumviri che col sangue de' fra- telli e nipoti fanno tra di loro mercato di au- torità e si Spartiscono le romane provincie. Ora più nou potranno i petti generosi di Bruto' e di Cassio sostenere la guerra che muove alla virtù semplice e vera, una politica nata dalla corruzione e dalle civili fazioni; ora l'uomo, che sente la libertà come l'anima della propizia vita, deve cadei^e al cospetto dell'oppressione e della forza brutale; colui che avrebbe fatto conio del proprio cuore piuttosto che strappar dalle mani del povero il frutto della fatica, nulla ha più di comune con quelli che, usando come lecito ogni mezzo di guadagnarsi il potere , spa- ventavano le provincie coi furori della guerra civile; sotto prelesto di far viendetta degli as- sassini di Cesare. Ma Bruto non vedrà consumato il sagrificio della libertà; egli morrà come visse. In questa seconda parte della tragedia, non v'è chi non senta la poetica bellezza e la pro- fonda sapienza del cuore umano che rivelansi specialmente in quel colloquio fra Bruto e Cas- sio, quando si corr uccia no insieme e poi tor- nano a paciBcarsi; ma sopra tutto in quelle alte e meste parole con cui Bruto mette a parte r amico delja morte della sua Porzia. Cassio s'inchina dinanzi alla maestosa virtù di quel- l'ultimo Romano; e quando il giorno fatale è venuto, essi stringonsi la mano come fratelli, e si dicono addio per sempre. Cesare non è più; ma Tamor patrio di Bruto sarebbe stato agli occhi nostri assai men grande^ se non si fosse in lui veduto che il congiurato e l'uccisore di nù uomo che volle farsi Re: ora noi* veggiamo in esso l'amico grande e puro di chi, nella pro- pria causa confidando e fermo sempre nello stesso pensiero , dopo aver fatto alla libertà sa- grificio di ogni altra cosa, non dubita un mo- mento di far quello della vita. Allorché scorge che, solo, non potrà più. difendere le franchi- gie di Roma, a Bruto più non rimane che il morire con essa. L' ombra di Cesare , che apparve sotto le mura di Sardi e nella pianura di Filippi, as- sai più potente di quel che non fosse stato Cesare stesso in vita, fu vendicata: essa vide la rovina della repubblica. Intanto che Antonio, compiange V estinto Bruto , e lo proclama il più grande d' ogni romano, dicendo che gli al- tri congiurati avevano spento Cesare per in- vidia o gelosia, egli solo per onesta virtù e per il bene di tutti, il nipote di Cesare si tiene in pugno il trionfo. Così la morte di Bruto doveva chiudere la catastrofe di quest' altissima tra- gedia, al momento che Ottavio, sicuro ormai di farsi padrone del mondo, raccoglie l'esercito perchè festeggi la giornata che decise il destino di Roma e quello della libertà del mondo antico. •o GIULIO CESARE VOL. u. Giut. Ce^. i ^3)^ PERSONAGGI GIULIO CESARE. OTTAVIO CESARE ), MARCO ANTONIO l '"«""f' .^<»P"» ^^ •"*"'« MARCO EMILIO LEPIDO) di Giuho Cesare. CICERONE PUBLIO > senatori. POPILIO LENA MARCO BRUTO CASSIO CASCA TREBONIO LIGARIO DECIO BRUTO METELLO CIMBRO CINNA FLAVIO l ., . ...-..^,-. >< tribuni. MARULLO V ÀRTEMIDORO, sofista di Gnido. UN INDOVINO. CINNA, poeta. UN ALTRO POETA. .. congiurati contro . Giulio Cesare. ■ ■ ■■■! H I I I, I ■ Mi***^ — ■ ■ ■■ . ^ *■ «<4>o servi di Bruto. LUCILIO TITINIO MESSALA CATONE IL GIOVINE VOLUMNIO VARRONE GLITO CLAUDIO STRATONE LUCIO DARDANIO PINDARO, servo di Cassio. CALPURNIA, moglie di Cesare. PORZIA, moglie di Bruto. SENATORI. CITTADINI. GUARDIE. SEGUACI. amici di Bruto e Cassio. La scena, per la maggior parte, in' Roma, poi a Sardi; ia fine a Filippi. oo . ■ * _ • 1 ATTO PRIMO 1 , f ■ • ._ ^ . ■ fc« '-^ oo SECONDO CITTADINO Sono, rispetto a un artigian più fino, Quello che tu diresti un torci-spago. MARULLO Il niestier, dico! orsù, rispondi a filo. SECONDO ClTTApINO Mestiero è il mio che in tutta coscienza M'è dato, io spero, esercitar: gli è quello Di racconciar la pelle vecchia. MARULLO O tristo, O malnato guidon, dimmi una volta Il mestiere, il mestieri SECONDO CITTADINO ' Signor, ti prego. Non romperla con me: se tu la rompi. Racconciar ti poss' io. MARULLO Che dir pretendi? Tu, racconciarmi? tu, marrano? SECONDO CITTADINO Io stesso, ' Signor, ti posso rattc^par. MARULLO Sei forse Ciabattino? ... SECONDO .CITTADINO La lesina, o signore, * E la mia vita : non mi xsecco impacci Con mercatanti o femmine; ma solo o< 9 ))=, Con la lesina mia^ Signor, di vecchie ' > Ciabatte son cerùsico; quand' esse Vanno a ìK>TÌna, io le rimetto ili' sesto. . Uom di vaglia non v'è che calzi cuòjò E di mia man sull'opre non cammini. FLAVIO A che non rèsti nella tua bottega, E 'costor mcfni In volta per le' vie? . SECONDO CITTADINO Egli -è perchè, frustando a lor le scarpe, A me, per dirti il ver, lavoro acquisto. Oltre a questo, signore, oggi facciamo Festa, per -veder Cesare, e del suo Trionfo rallegrarci. , MAnVLLO Rallegrarvi? E qual conquista ei tragge a casa? quale Lo segue in ^Roma tributaria ^chi^a' In catena servii, ch'orni le ruote Del suo carro? — O voi,' gente di macigno. Gente peggior 4' ogni insensata -cosa, O voi cuori di scoglio, o voi crudeli Figli di Roma! E- che? non conosceste Il gran Pompeo?' Già tante e tante volte Alle torri saliste, alte finestre, - A cavalcion di mura e di basti te. Si, fin sugli alti fumajuioli, in braccio Recandovi i bambini, « là ^seduti Cheti aspettando e pazienti, quanto È lungo il d^ die il gran Pompeo le vie o^ 10- )o Di Roma aUraversa^ae: e, come aj^na Il suo carro apparia, non sollevaste Un grillo uni versai die nel suo letto Tremar faceva il Tebro, agi' iterati Suoni, al rimbombo del concavo lido? — E voi di piena gala ora cestite, Ora fate uscir fuori un di festivo, Spargete i fiori sul cammia di lui Che trionfando vien, perchè versato Ha il esangue di PompeoZ^^i Sgoonbrate toisto, Correte ai tetti vostri, « ginocchioBi Gettandovi^ pi*egate che gli Dei Stornin dal vostro capo il gran castigo, Che sovra tanta ingrati tudin pende. FLAVIO Itene, buone genti; ile, e, per questa Colpa, i tapiai c^e vi son consorti Ragunate del Tebro in sulla riva; Colà, le vostre lagrime piovendo Ndr acque, Catte che il più basto fl&tlo Giunga a baciar la sponda ^le più sorge. "— ci CASCA Tacete: paria Cesare! (cejsa la musica) . CESARE Calpurnià. CALPUBNIA Eccomi a te, signor. CESÀRfi Ti poni In sulla stessa Via che Antonio deve Seguir nel t^inpo della corsa, i— Antómo ! ANTONIO Cesare, signor raio!\ CESARE Nella tua corsa, Non iscordarti di toccar passando Calpurnia; poiché dicono i seniori Che steril donna, dove alcuno in tale Festa la tocchi, sfugge alla condanna Deir infecondo grembo. ANTONIO £ sia qual vuoi. Dica o CkSStÓ E tu non .segui L'ordiùc della cotsei? BROTO Io? no. ci;ssio Deh, vi^i. iSRurro Uomo non son che di feste si piai^ciar. Della gajezza che in Antonio vedi Mancami assai; ma, per non fafte inciampo, O Cassio, alla tua brama, ecco mi scosto. CASSIO Bruto, da qualche tempo io Io notai. Non mi riguardi pib con si benigno Occhio, né coiraiFettp à cai da pria^ Uso io m'era. Ritroso e strano troppo Con r amico, che t'^ama, adopri. tìROTO O Cassio, Non t'ingannar. Se un velo ho sulla fronte, Incontro a me soltanto io volgo il mio Si torbido cipiglio. È qualche tempo Che mi crucio d'opposti e vìiolenti Affetti, i quai star denno in me sepolti, E son forse cagion del portamento Che in me tu vedi: ma non vo'che afflitti Ne siéno i buoni amici miei (te pttre Pongo, o Cassio, fra questi) e che, veggendo Sinistramente la freddezza mia. .. ». . •-^- .. .-t t «v9 ^^r». » !■— !■ iir|i 1 1 1 —a I mi al imm i i l n ■ i .J o< l«.>ei Pensino mai che T infelice Bruto, In guerra ognor don sé, quei forte* affettk) Che a lor 1' avvince , palesar non curi. CASSIO 10 dunque il- tuo patir compresi a torto, O Bruto; ond'è ehe gravi, alti pensieri. Degni di lungo meditar, mi tenni In cor sepolti. — Or dimmi , il tuo sembiante Conosci, Bruto? BRVTO* No. -— ' L' occhio non vede Sé medesmo; ma sòl col suo riflesso, O in altra guisa il può. CASSIO Ben dici; eppure Grave sciagura è in ver, che tale speglio, Bruto, non abbi che negli occhi tuoi Ti rifletta dell'alma i pregi occulti. Sì che tu possa, ancor vederne l'ombre. Udii, là dove de' più degni in Roma 11 fior s'accoglie (eccetto l'immortale Cesare), favellar di Bruto; e farsi Lagno sul giogo di codesta etade. Occhi augurando al nobil Bruto. BUUTO À quali Perigli espor mi vuoi, che si mi pungi, £ quanto in me non ho, vuoi che in me trovi? CASSIO Riman dunque, o mio Bruto, ad ascoltarmi. ®<1«> E poiché te medesmo. tu ocmVedi: - . Che per riflesso altrui,, di me vo* farti : • ; Uno specchio, che sveli in guisa onestà - Quello che di te ste$so ancor non sai. Né ingelosir di me, fedele amico:' ^ -> t * Che, se volgare scherni tor- mi fòssi, ' ( O se, con Tesca^ de'cQmuni giuri, ' ^ - D'amor baratto far potessi a quanti . : > Mi ricantan proteste; oppur se mai. A te noto foss' io qual uom che piaggia, Che stiletto abbracci alcun, poi lo deturpi, O come tal che banchettando a tutti Si professi divoto; ohi m'abbi pure Per cittadino periglioso. (^suonì ed applausi di dentro) B9UTO Ascolta! Che vuol dir questo plauso?.. Io temo, Cassio, Che il popolo a suo re Cesare elegga. CASSIO Tu lo temi? Pensar cosi m' è forza Che no'l vorresti. BRUTO rfo'l vorrei, .quantunque Io r ami molto. — Ma perchè si a lungo Qui mi trattieni? E che vuoi rivelarmi? — S'ella è cosa che tomi al comun bene, Ponmi dinanzi agli occhi onoi*e e oiorte, i E questa e quello a me.saran lo stesso!.. Cq6Ì mi sien fausti gli Dei, quant' io . . «>< L7 >o Amo ronor più vcke moTtc' libri teai». ' i » »1 CASSIO -, ' ' ' !..:■■.) A La virtù che ih tie chiudi appiea cdnbsco, ■' Quanto la stessai tua SK^mbianea, o Bruto. ' Or ben, del mio discorso il tema Sonòre. —i Quel che tu pensi di codesta vita, < Ed altri teco, dir no» so; ma pt*imà Io, quanto a me, vorrei, cessar la vita ^ Che vivere in timor d'altro: me stessio. ^ Io, di Cesare ai par, liberò nacqui^ ^ E tu pure; allevati al par dì lui, • Ambo possiam durar del verno i geli, Com'esso. Mi sèvvien che, iii un ventoso Giorno crudel che il Tebro gonfio e torbe ^ Flagellava le rive, a me dicea Cesare: Il cor ti basta di gittarti, Cassio, con me nello sdegnato flutto, E di nuotar fin là? — Detto non ebbe Ch'io, qual era vestito, mi precipito Nell'onda, e accenno a lui di seguitarmi. — Ei mi segue,.. Maggia l'ampia corrente, E noi, rompendo con gagliardi nervi «: L'onda a traverso e riurtando a gara^ Col cuor lottante avanzavàm: ma. pri^ Che toccassi la meta: — Ajuto, o Cassio, Vèr me Cesare grida, o ch'io m'affogo!.. Io, simile ad Enea nostro gran padre Che fuggitivo dalle vampe d'Ilio Sugli omeri' portava il vecchio Anchise, Trassi l'affranto Cesare dal flutto.^. _- A_ TOM. II. Giul. Ces. \ •<«)o E un Dio. costui divenne: e Cassio invece £ creatura vii che., ad ogni lieve Moto di lui^ debbe chinar le terga. — • Nelle Spagne, una febbre gli sorvenne; E, del mal nell'accesso, io Io vidi, io, Tutto tremar... si, questo Dio tremava! Senza color le sue labbra codarde; E l'occhio, ch'or d'un cenno agita il mondo, D'ogni luce era muto; io Io sentii Gemere; e quella lingua. che a^ romani • Di notar comandava ogni suo moto, E ne' libri vergar le sue parole : Aimèt gridava al par d'egra fanciulla, Dammi f TitiniOj un sorso d'acqua! - O Numi! Stupor mi fa ch'uom di si fiacca tempra Sovei*chi maestoso, al mondo tutto , E colga. ei sol la palma. C suoni e grida d'applauso di dentro) BRUTO Altri clamori Di lieta moltitudine! — Gred'io, Plausi son questi a' novi onori in capo Di Cesare versati. CASSIO E vero, amico. Ei giganteggia sulla terra augusta. Come un colosso; e noi, minuti e grami, Passiam di sotto a' vasti fianchi' suoi,' oo E chiocciando cerchiamo a noi medesmi Inonorate tombe. Ma talvolta L'uom comanda a' suoi fati; « non è colpa Degli astri, o Bruto mio,, ma di noi stessi Se fra gl'imi restiam. — Cesare e Bruto! E che mai tu ritrovi in questo nome Di Cesare? perchè suonar dovrebbe Più del tuo?.. Scrivi l'uno all'altro accanto, E il tuo bello è del paro; li pronunzia. Ben ti stanno sui labbri; e del par gravi Sono a librarli; e ad imprecar gli spirti,. Qual di Celare, vai di Bruto il nome. {altre grida d* applauso) Or, di che mai, per tutti i Numi insieme. Di che mai questo Cesare si pasce Per diventar sì grande?.. O secol nostro. Secolo d' onta ! O Roma , vedovala D'ogni nobil germoglio! £ quando mM Venne un'età, dopo il diluvio antico,. Che più d'uà grande non facesse altera ?^ Quando fu detto, nel parlar di Roma Finor, che T ampia cerchia di sue mui'a Ad un sol uom bastasse appena?.. O Roma,. O Roma, un dì sì grande ed or sì angusta, stanza in cui non siede altri che un uomo!.. 1 nostri padri, e tu, com'io^ li udisti. Solcano dir: Tempo vi fu che un Bruto D'Àverno il giogo avi*ia sofferto in Roma Anzi che un re. o<20>o BHtJTO Dubbio non ho che tnàtni; E veggo qualche lieve òrma éeìY opi^ ' A che dotidtii'nii vuoi. — ^ Quello eh* io pensi Di tal opra e de' tempi a cui slam giunti, Ti chiatirò dappoi : per or , non bramo , E per r difetto che ne stringe il chieggo, Che m'inciti di più. Quanto parlasti* Vo' meditar: quel che ti resta' a dirmi Udrò poi paziente; e. tempo adatto Per udii*e 'C trattar sì alte case Trovar saprò. — Frattanto,, il lustre amico ^ Pesa ben questo: Bruto esser vorrebbe Villano oscuro, anzi che figlio a Roma Sotto il dui-o governo che codesto Tempo può traiti adosso. CASSIO Io vo contento Che ri mio fiacco parlar tanta scintilla Dal cor di Bruto sprigionasse. Jtitorna CESA HE col suo Séguito. BROtO I .giochi Finn*: Cesare torna. • • •' CASSIO . Allor che Casca Ti passi accanto, per lo lembo il pigliti: «<2i:)o Ei saprà dirti nel suo ros^o stile Ciò che degno, dr nota oggi successe. BQUTO II farò. — Ma* riguarda, a Casdj,;£^|ha^ Quale il reggiamo iu Garqpidoglio, qi^^audo Un senatore in arringar l' attacca. . * CASSIO La ragion Casca potrà dirne. * » CESARE Antonio! ANTONIO Cesare. CESALE t Tu farai eh' io . m' abbia intorno « Volti ritondi e lisci, uomini lieti. Che dormano i lor sonni ; emunto e macro Viso ha quel Cassio; ei peusa troppo; e $oao Perigliosi costoro. ANTONIO Oh uQix temei*lo, Cesare! danno ei nou può fai*; gli é questi Nobil romano, e l'animo ha gentile. ( 1 I «<21>o CESARE Vorrei fosse più in carne. Ma no'l temo; Solo non taccio che, se mai timore Potesse accompagnarsi al nome mio, Uom non conosco che schifar bramassi Più di quel Cassio macilento. Ei troppo Legge ed osserva troppo; all'opre umane Quell'occhio suo passa attraverso; mai Della commedia non si piacque, b Antonio, Come tu; né alla musica dà mente; Raro sorride, o in guisa tal sorride Che par di se gioco si pigli , e a scherno Abbia lo spirto suo che alcuna cosa Lo mova al riso. Mai non sono in pace Uomini di tal tempra, infin che innanzi Yeggansi alcun di lor più. grande; e questo Li fa si perigliosi. — Io, sol ti dico Quel che temer si può, non quel che temo; Ch' io son pur sempre Cesare ... Mi vieni Alla destra; di qui tardo ho l'orecchio; E ciò che di lui pensi aprimi schietto. . {parie Cesare con tutto il suo Séguito» Casca rimane) CASCA (a Bruto) Per il mantel tu mi traesti. — Meco Brami parlar? BRUTO Si, Casca; quel che accadde Stamane, e che fa Cesare si cupo Dinne. o<2S)o CASCA Come? con lui, con lui non foste? BRUTO Allora 9 a Casca non farei domanda. CASCA Or ben, gli venne oiferta una corona; Ma la sua mano rifiutò V offerta, Con tal gesto; ed in plausi il popol ruppe. BBUTO Ma del novo romor cpial mai cagione? CASCA • La stessa, dico. CASSIO . Essi ^idar tre volte. Or qual cagion di. queste, ultime grida ? ' .CASCA ' • . ' La stèssa. . BRUTO . * Che:? tre volte la corona Offerta gli han?.. . CASCA Tre vòlte, ed altrettante Ei la respinse; «d ogni volta in guisa^ Sempi*e più molle; onde la buòna gente Dintorno à me gridava. CASSIO • E la corona Chi gli offerse? . CASCA ' Fu Antonio. I rf.— ^1 «KSI-^o^ BM3TO Oh ! narra il -carne, Buon Casca. * Se dovessi irne alle for9he, Non saprei dirla^ E'fe vera commedia, Né bene l'osservai; sol Marc' Axi^tonia Sporger. gli vidi Ju da corona j ed <6r9 Non già proj5rio corona;; ma una foggia Di coromsinà. Allor, come vi dissi, < . La prima volta rifiutò; ma penso Ch'egli l'avrebbe, e ben di core/ accolte! . Di nuovo Antonio glieVoffria, di nuovo La ricusò;^ ma le sue dita, io bredo, A distaccarsi era n. ritrose:^ al fine Antonio venne alla soa terza offerta , E per la terza volta ei la respinse. Ad ogni suo rifiuto, «prorompea Il volgo schiamazzante; e palma a palma Batteano; i trasudati lor berretti Slanciavano nell'aria; e le lor bocche Di Cesare acclamanti ali» ripulsa . Tanto esalavaa puzzolente fiato, ^ ' elisegli n'affogò quasi,, e svemne e <:Giddc. -^ Io, quanto a me, di rider' non osai, Temendo aprir le liabbr» e ber quel puzzo. r CASSIO Di grazia, attendi: Cesare, tu dici, Svenne? %,- «5K2&)o . i M Sui mailiiù «della rpiaiia: et cadde ^ Con la «chmma àlla.;hoccà e sento vocx^; Ben lo credo^; iex::paitu»oe: il. rfial! caduco. Non già Cesare^ no!., tu stesso ed io E '1 buon. Casca, patiam di mal caduco. CASCA ( 10 non intendo che vuoi dir; ma certo Son che Cesare cadde. £ se la malta Folla di que' straccioni, a isuo talento, Come suol con gli attori in sul teatro, Non pianse e /noa ! fisckiò', più non son io Un onest' uomo. '. * . • Baii Li scongiurava di pensar d»'eU'iera ^U}^ Del male effetto. Tr9 tapine o (juattro, Dov'io slava, |;ri4àro: Abi, povei^ello! E si gli pei4^nàr di tutto il cuore. '-^ < Ma ohe y/i{ mai ciarla di sciocche? Sbanco Cesare t^vesse le lor madri ucciso. Gridato avrian non meno. E di là poi, BRUTO 6\ cupo egli partia? CASCA Si. CASSIO Cosa alcuna Non disse Qlceron? CASCA Si; parlò greco. CASSIO In che senso? CASCA • Se dir ve lo poss'io, pfou mi sia data più guardarvi in faccia. Que'che compreso l'hanno, sogghignando i Givan tra loro e dimenando.il capo; • * Ma, v'accerto, per me fu proprio* greco* : Pur, so dirvi di più: perchè gli'àdórni * ' * Simulacri di Cesare spogliàro, i < . /^ Flavio e Marullo furon messi al bujo. *^ : . Addio. V'han pure altre follia, «se .in mente. .". M'avessero a tornar; •,. !» .'. il oo CASSIO Casca, ne vieni Meco a cena stanotte? CASCA No; che ad altri Promisi. CASSIO' Dunque, per. domani al pranzo. CASCA Sì, dov'io viva e- tu pénsier non muti; E se il tuo pranzo vai ch'altri lo mangi. CASSIO Bene, t'aspetto. CASCA Bene. — Ad ambo addio, (patte) BRUTO Che zotìcon costui s'è fatto! Egli era Pronto e ^vivace quando insieme a scuola - Noi fummo. • CASSIO E tale è ancor quando s'accinga- • A qualche fatto generoso, ardito, Bènch'egli vesta* una- pigra: sembianza. E questa scabra tempi*a il suo vivace Spirto condisce, e con più sana voglia Conforta a digeiùr le sue parole.. < BRUTO Tal è. Per or ti lascio; e se li grada Meco parlar, domani alla tua casa A trovarti verrò; se meglio stimi =K2f ^ Tu medesmo ne vieni a casa mia; Ti attenderò. CASSIO Cosi vo' far. — Tu intanto, Al mondo |>en|Ba. — iBrutò pnrtt\ 01S»IO :0 Bx*uto! im g^peroso Spirto sei tu ! Ma quel metallo egregio Che ti cx^mpon^fQggiato a ben diversa Opra^esser p^ò; da ^ella a cui ti porta Natura. Quindi è ben che all'alme elette Alme simili sien congiunte sempre. Ed in vero, qual mai.v'è cosi fermo Cor che/8iildurre alti*i tion po^a? In uggia A Cesare son io, ma Bruto egli ama. Se Bruto io foasi; el Cassio, a cai^ezsarmi Verrebbe invan colui, - — Vo* questa notUt Sulle > finestre sue gittar parecchie Schede, di man diversa o come apposte Daf varj cittadini.^ in cui si dica . Qual Roma ,di lui faccia alto concetto^ E trapelar si vegga ixx modo oscuro L'ambizion di Cesare. — £' poi^ fermo Tengasi pur costui; che rovesciarlo Noi sapremo, o durar giorni peggi(n*i. diparte) cm9 v& SCENA liK ROMA. Una via. — Tuoni e lampi. • Entrano da opposte parti CASCA, colla spada nuduj e CiCfiRONE.. Salute , o Casca. Accompagnasti ibi-se . Cesare a casa? Perchè: mài ti' vo^^o « >^t Affannoso cotanto e stupefatto? CASCA Non ti còmsnovì allov che dal profóndo : Trema la ùiole della terra, come Cosa mal fernia?.. Cicerone,' io vidi Tempeste in cui* l'urtò de' venti irati' Spezzò le i}uei*cie più nodose; io vidi Spumar, goiifiai'sl l'oceàii superbo, Infuriando e sollevando ili alto ' <: Fino alle nubi minacciose i flutti; Ma non- màf fino iad or, nob mai pvoeelU Atrtravei'sai di fulmini ptóvéati ; Siccome questa. O che intestina guerra Si scateni nel cielo, ovver che il moiidò o<»0>o Ribelle a' Numi ne viofiammi Tire Ad inviar la morte. GICBRONB E che? più strane Maraviglie mirasti? GASCà 4 Un vile schiavo (Ben di veduta lo conosci) in alto Leva la manca; e questa al par di venti Faci insieme congiunte arde ed avvampa , Eppur non sente il foco, e appar non tocca. In altra parte (né dappoi rimisi Nella vagina il ferro) ecco, di contro Al Campidoglio, un l'ion mi s'affaccia; Con occhi accesi mi riguarda e passa, E non m'offende. Eran colà vicine Cento femmine accolte in un sol gruppo, Simili a li vid' ombre, sì le avea Contraffatte il terror, giurando tutte ' Che infocati guerrieri àvean veduto Scorrer di su, di giù, lungo le vie. K jeri, in pica meriggio, a posar venne L'augello della notte in sulla piazza Del pubblico mercato, e quivi stette Ululando e gemendo. •— *' Allor che tanti Sorvengono prodigi in una volta, No, l'uom non dica: Han lor cagione in essi; Son di natura effetto. -^ In loro io veggo Portentose minacoie alla regione A cui fan segno. <. m •<31 >o CICERONE È vero; il nostro tempo A strani casi s'apparecchia: pure Col proprio senno ognun libva le cose Mentr' esse vanno per opposta via. — Dimmi, verrà domani sei* Campidoglio Cesare ? . . CASCà Sì, verrà: disse ad Antonio Di darti cenno che colà domani ficcarsi intende. CICERONE Buona notte, Casca: A ciel cosi turbato, ei non è bene Andarne in volta. CASCA. Cicerone > addio. (pafUè Cit erotte) Entra CASSIO. CASSIO Chi s'avanza? CASCA Un roman. CASSIO . Casca, alla voce. CASCA Fino hai l'orecchio. «Oimèl Cassio, qual notte? •<32)«» é Notte ad'riomitii onèsti tu'' vèr gradita. CA50A . '^ i • A • Chi mai Tide nel ciel tanta minaKiciil ? CA9sro . ' ' ' Chi di colpe miro piena la terrai.- Io per me camminai lungo Le vie Sotto il periglio di ^ fiera notte; £ sflbbiata la vaste, qual ini- vedi, •' Alle folgori offersi -il petto ignudo; E, ad ogni solco di livida fiamma, Che pareva squarciar -de' cieli il grembo, Me stesso feci segno alle saette. Ma perchè mai così tentasti il cielo? È mestieri che Tuom paventi e tremi Quando gli Dei sovrani invian codesti Araldi d'ira a sbigottir la terra. CASSIO Hai bujo il senno, o Casca, e le vitali Faville ch'aver debbe un cor romano O in te non sono, o dormono. Tu stai Immoto di terfor, di maraviglia, E impallidisci in faccia a cosi nova Furia de' cieli. Ma sis pur volessi La verace indagar cagione occulta, A che tutti que' fochi; a' che gli spettri Vaganti per la notte'; a che mutati Di natura e di specie augelli e belve; Veccki scarni e fanciulli profetanti'; ' o< 33 Jo A che mai tali e si diverse cose Dair ordine preGsso e dall' usata Ragion di lor natura in mostriiosa Forma slocate , allor vedresti come Infonda in esse il ciel si fatti spirti, Sol perchè siéno di terror ministre, E presaghe di nuovi orrendi casi. — Ora, o Casca, io potrei tal uom nomarti Tremendo al par di si tremenda notte; Un che fulmina e tuona, apre gli avelli » E qual l'ione in Campidoglio rugge; Ma che maggior di te, né di me stesso Non è per forza personal; pur crebbe, Al par di questi mutamenti arcani, Portentoso e terribile!.. CASCA Tu parli Di Cesare: gli è. ver? CASSIO Sia di chi vuoisi* — Si! gli odierni romani han membra e nervi Siccome i padri lor; ma, noi meschini! De' nostri padri l'anime son morte, E sol gli spirti delle madri nostre Ci governano; il giogo e'I soffrir lungo Ne fan simili a femminette. CASCA E in vero, Doman, corre la voce, i senatori Re nomeranno Cesare, che ovunque TOM. 11. Giul. Ces, «<»4)o t la terra e ia mare porterà corona, Fuor che qui nell' Italia. CASSIO Ed io so beue Dove allor, porterò questo pugnale. Cassio trarrà fuor di servaggio Cassio. — - JTale il fiacco rendete, o Dti, gagliardo; Tal disfatti per voi sono i tiranni! * Né torre di macigno, né muraglia Di bronzo, né prigion senz'aria e lume. Né ferree^ salde anella un'alma forte Ponno alla terra incatenar; la vita Affaticata dai mortali ceppi Trova di liberarsi ognor la via. E s' io Io so , che il sappia il mondo tutto : Codesta parte che portar mi tocca Di tirannia, posso a piacer gittarla. CASCA. Il posso anch'io: ch'ogni captivo ha in mano La forza di spezzar la sua catena. CASSIO E perchè sarà Cesare un tiranno? Miserabile!.. Un lupo esser non vuole, Ma vede che son pecore i romani; Né l'ion fora, s^ ei non fòsser cervi. Chi vuol che presto gran foco divampi, Con poche paglie il desta. - Oh quale imbratto Di ciarpame e sozzura é questa Roma Fatta alimento allo splendor di cosa Vile al paro d'un Cesare?.. O dolore. o<35>o Dove mi tn^ggi? — * lù ^ui forse favello À volonjtavio schiavo; e dgrhe costo M'è forza, il Bo; ma «oao armalo » e atomtni Ad ogni rischio indifferente. CASCA A Casca Tu parli, ad uomo dbe non è sfacciato Rapporta tor. I^a man mistiingi; adopra. Congiura ad emendar codesti oltraggi... Ed il mio piede varcheirà la traccia Di chi* va più lontano.. CA$SÌO È cosa fatta. — Or sappi. Casca, che non pochi io spinsi De*^ romani più chiari e più valenti A tentar meco un opra a cui va dietro Conseguenza onoranda e perigliosa. Sotto al portico et stanno di Pompeo Ad aspettarmi: che in si fiera notte Nessun si move, o per la via trascorre. Di natura 1* aspetto ora somiglia All'opima che riposa in nastra mano. Tinto di sangue, minaccioso, orrendo. Entra GINNA. CASCA (a CasÈiaiy Stammi accosto: vèr noii js'^ffrettsi alcuno. o< 36 )o CASSIO • È Giona; all'andar suo ben Io ravviso. Amico egli è. — Giona, ove corri? CINNA In traccia Di te. — Ghi teco vien? Metello Gimbro? CASSIO No; ma Gasca, un de' nostri ad ogni prova. — Non m'attendono, o Ginna? CINSIA Io ne son lieto. — Qual notte spaventosa! Alcun fra noi Vide grandi prodigi. CASSIO Or dimmi, Ginna: Non sono attéso? CINNA Il sei. Se trarre a' nostri Il nobil Bruto tu sapessi , o Gassio . . . CASSIO Sta di buon cuore, o Ginnà. Questa nota Ti prendi, « del pretor sulla bigoncia Fa di porla, onde venga in mano a Bruto. (gli dà alcuni scriltO Gitta quest'altra sulla sua Gnestra; £ questa pur con cera affiggi all' alta Statua di Bruto antico; indi, ciò fatto. Al portico ritorna di Pompeo^ Dove raccolti noi saremo. — E, dirami, V'è Decio Bruto? v'è Trebonio? <=»<87>o CINNA Tutti , Fuor di Metello Cimbro : alla tua casa Egli venne a cercarti. Ora, m'affretto A locar queste note ove dicesti. CASSIO Poscia, al teatro di Pompeo ti rendi. ( Cinna parte) Vieni, p Casca. Noi due, prima che aggiorni, Bruto vedi'emo in casa sua: già nostra E gran parte di lui; nostro fra poco Tutto l'uomo sarà, nel primo incontro. CASCA Ei del popolo siede in cima al core; E quel che offesa in noi sarebbe, il suo Influsso, a guisa di possente alchimia. Trasmuta in pregio ed in virtù. CASSIO Di lui E di sua nobil- tempra, e del grand' uopo Che n'abbiam tutti, giusta idea facesti. — Àndiam; la notte ha già varcato il mezzo, E pria che albeggi, ei convien destarlo, E aver certezza eh' egli pur sili nostro. (partono) F1£IE DELL^ATTO PRIMO. o< 8» >o 1 > • » • ATTO SECONDO • • •<4l)o SCENA h ROMA. Gli orti di Bruto. Entra BRUTO. L BRUTO ucio, oh vieni! — Dal giro delle stelle Non m'è dato scoprir se il di s'avanza. Lucio, dico! — Vorrei che fosse il mio Codesto vizio del dormir sì duro. Lucio dunque, ti sveglia! Or bene, Lucio! •u Entra LUCIO. Luefo Me chiamasti, signor? BRUTO Lucio, mi poni Nella stanza di studio una lucerna; T^ ■^ o(4ft>* Poi che accesa l'avrai, torna e mi chiama. LUCIO Me 'n vo, signor. {parie) ^RUTO Non v'è che lar «uà morte. Quanto a me, di spregiarlo alcuna causa Personal non conosca, altro che quella Di tutti. — Ei brama la corona! Or, come Cangiar natura ei possa, il punto è questo. E il sole ardente che sviluppa il serpe, E a gir cauti ne slorza^. Una corona Dargli?.. Si! — Ma sarebbe armargli il braccio D' un'asta onde infierir possa a suo grado. — Abuso è di grandezza , ov' è disgiunto Il poter dal rimorso; e, per dir vero Di Cesare, non so che degli affetti La forza, in esso, alla ragion sovrasti. Ma la comune espenenza addita Che la modestia. é scala a eul, salendo, Giovine ambusion mostra la faccia; Ma poi che attinge Io scaglian supremo. Volge alla scala il dosso, erge alle nubi. Lo sguardo ed a vii tiene i bassi gradi Onde poggiò sublime. — E ciò potrelAe Cesare! Or si prevenga anzi che il faécia. Che se in esso non è cosa che vagUà Ad onestar l'attacco, in eotal guisa La ragion se n'informi: Egli, salito A grandezza, potria .rompere in *i]iifisto o< 4S)o O in qoell^éèdesso; ei sia dtinqne pe^ noi Come Fuovo del serpe che, covato, Sguscia al mal per natura: òr, dentro al guscio, S'uo Tanto lume mi vien pèrchMo qui legga: i/tpre la lettera e legge^ «Tu dormi. Bruto?.. Svegliati, e in te stesso »Qual sei ti guarda... Dovrà dunque Boma... 99 Parla, colpisci, salva!.. O Bruto, dormi? ^Svegliati!.. » : — Queste note istigatrici' Rinvenni su' miei passi e per la via Spesso raccolsi, u Dovrà dunque Roma...-» Ora a me tocca di compirne il senso: Dovrà Roma tremar d' un uomo al cenno ? > Che? Roma?*. Gli avi miei cacciar da queste Vìe di Roma il Tarquinio che pigliossi Nome di re. — «Parla, colpisci, salva !.^» Mi scongiuran ch'io parli, ch'io ferisca?... 10 te'l prometto, o Roma! Ove a te rechi 11 giorno del riscatto, oh! tutto avrai Quanto richiedi dalla man di Bruto^ Ritorna LUCIO. LUCIO Già quattordici di Marzo consunse,^ O signor. (^battono dijuori) BRUTO Bene sta. Vanne alla porta; Alcun batte. yi > "111 ili jlllii W-li If * -r*- <=><4S>o BHDTÒ • Dacché la prima volta Quel Cassio IncontTo a Cesare mi punse,- Occhio più non velai. — Fra il primo invito Ad un atto tremendo e Tatto istesso Avvi uno spazio tutto pien di larve, Od un orribil sogno. Allora il genio Con le forme di morte si consiglia; E l'uomo in sé medesmo è un picciol regno In cui passa il furor della rivolta. Ritoma LUCIO. LUCIO Cassio, il fratello tuo qui fuori attende, E di vederti, o signor, brama. BRUTO È solo? LUCIO No, v'han molti con lui. BRUTO Non li conosci? LUCIO No, che vengono tutti incappucciati, E mezzo il viso nel man tei sepolti; Ned' ebbi dall' aspetto o dal contegno Modo a spiar chi siéno. BRUTO Entrar li lascia. {Lucio parte) o<4C^ ) V RRUTO Son questi i coi]|;larati. *— Oh! ti vergogni Forse, o Congiura, di inosU^ar la tua Terribil fronte all'ora della notte Quando 41 male é pia Ubero? Ma dove Al chiaro dà trovar tu puoi spelonca Tanto buja che basti a fs^r velame All'orrendo tuo viso? Oh! non cercarla, O Congiura! T'occulta nel sorrido, Nella dolcezza: che se tu passeggi Gol sembiante natio, l'Èrebo istesso Oscuro non è t^nto che ti faccia Schermo al sospetto. Entrano CASSIO, CASCA, DECIO, CINNA, METELLO CIMBRO, e TREBONIO. CASSIO All'ora del riposo Noi veniam troppo arditi. Salve, o Bruto. Forse importuni?.. J3RUT0 Son da un'ora in piede: Vegliai tutta la notte. I tuoi compagni Li conosco? CASSIO Ciascun t' è; noto; un solo Non è fra lor che nou t'onori; e brama Ciascun che di te stesso alGn tu senta ■■■■■■iM^aifcl ^1 o<47)o Quello che di te sente ogni romano. — Questi è TFeÌM>nio. BRUTO Ben venuto. CASSIO È que^i Decio Bruto. BKUTO A lui pur salute. CASSIO Ed ecco Qui Casca e C!inna; ecco Metello Gimbro. BRUTO £ ben vengano tutti. Ora qual mai Vi gii cura si mise fra le vostre Palpebre e questa notte? CASSIO Una parola Dirti poss' io? i Bruto e Cassio si parlano in segreto) DEdO Gli è questo l'oiieule: Non è il mattino che di qui biancheggia ? CASCA No. GINNA Scusa, amico mio! ben è il mattino: Le btaudie striscie che screzian le nubi Son del di messaggiere. o<«/« r CASCA , i Ambo dovete Confessarvi ingannati. Là , dov' io j La spada appunto, sorge il sol, che verso ' Meriggio or fa molto cammin recando La stagion, bella gioventù dell'anno: , Fra due mesi più su, verso i trioni Ei volgerà, mettendo da quell' alto Punto le prime vampe; e l'oriente ' Là guarda, ove s'innalza il Campidoglio* — BBUTO i Tutti la man mi date un dopo 1' altro. i ! ! CASSIO I j E. di compir giuriamo il gran disegno. BBUTO No! nessun giuramento. Ove il concetto Degli uomini non valga, e delle nostre Ànime il patimento e i tempi iniqui Sieno fiacche ragioni, ogni consiglio Rompasi, e torni all'ozioso letto Ognun di noi; lasciam che Tirannia Dall' occhio spregiator tutti ne calchi , Finché ciascun, per sorte, cada. In vece, Se, qual certo ne son, fiamma bastante Han codeste ragioni che i più vili Àrda e di ferrea tempra i molli investa Femminei spirti, quale sprone è duopo, Concittadini, fuor la causa nostra Che ci punga al riscatto? e qual legame Tranne il segreto che un romano serba «^ l»>o A la data parola a cui noQ falla? Qual giuro mai fuor quello che l'onesto Lega air onesto, di compir tal opra O di cader per essa? Oh! giurin pure Sacerdoti e guardinghe anime vili, Vecchiardi, ossami emunti, e creature Quante v'han pazienti che all'oltraggio Fanno buon viso. £ giuri per ingiusta' Causa quei che sospetto altrui si fece; Ma noi, deh! non vogliam di questa impresa Contaminata la virtù, né vinta De' nostri cor l'indomita saldezza Dal pensier che la causa od il grand* atto Cui Siam devoti un giuramento chiegga. Ogni stilla del sangue, e nobil sangue » Che nelle vene d' un roniano scorre. Traligna, imbastardisce ov'esso appena La più leggiera particella infranga D'una promessa dal suo labbro uscita. CASSIO Di Cicerou che dite? Dobbiam pure Tentarlo? Saldo nqdo a noi Ip stringe, Io penso. CASCà Non facciam senza di lui. CIN£iA No, per ogni ragion. METELLO Nostro egli sia. Col suo crine d'argento una felice voL. II. Giul, Ces, o<50>o Opinion ci acquisterà, destando A laudar l'opra cittadine voci. Il senno suo, diran, le nostre mani Drizzò; la nostra giovinezza e il fero Impeto ascosi ' riman*anno; e tutto Nel suo grave costume andrà sepìolto. BRUTO No'l nominate; non apriamo a lui L'alto pensiero: ei non va dietro a cosa Gh^ altri incominci. CASSIO E sia, non più di lui. CASCA In vero, noti è adatto. DECIO Àltr'uom non dessi Che Cesare colpir? CASSIO Decio, ben tocchi. — Marc' Antonio, che a Cesare è si caro. Non è bene, cred'ìo, che a lui sorviva. Noi troveremmo in esso uno scaltrito . Fabbro d'inganni; l'arti sue, v'è noto Come le adopri, può spiegar sì larghe Da perigliarne tutti. A prevenirle, Cadano dunque insiem Cesare e Antonio. BRUTO Noi ci mettiam per sanguinosa strada, O Cajo Cassio; e ciò parrà se, tronco * Il capo, a brani faretp poi le membra, *=»(51*5o Come il furor cBe uccide e quindi ìmpi*eca: Antonio è sol di Cesare una parte. D'un sacrificio sianr ministra, o Cajo, Non carnefici! — Noi sorgiamo incontra. Allo spirto di Cesare; lo spirto Sangue non ha. Deh! se ne fosse dato Trovar l'alma di lui, senza cercarne Per le membra di Cesare la via! Ma, per questo, il suo sangue, oimè! bisogna. - Dunque da forti, amici miei, ma senza Rabbia s'uccida; immolisi, qual degna Ostia agli Dei, non si di membri, quasi Carcame dato à'cani. I nostri cori Facciano al par di que' padroni astuti Che ad opra di furor pungono i servi, E poi sembran biasmarli. In cqtal guisa Agli occhi di ciascun 1' alto disegno Necessità, non- fatto iniquo, appare: £ mondatori noi isarem nomati, Non assassini. Quanto a Marc' Antonio Non ne fate pensier; ch'ei più del braccio Di Cesare non può^ quando caduta Di Cesare è la testa. CASSIO Eppur Io temo; Si forte affetto a Cesare lo invesca . . . BRUTO Ah no! di lui non ti curar, buon Cassio: Molto Cesare egli ama, ma in lui stesso Quanto egli può si chiude; averne angoscia^ l.*^ ■■■ N»^.i ^M^iMh^"«i*>«*l^«ft ^ i» ^nj|>^-»i. I^.A*<-o Morir per lai: soverchio aQCor sarebbe Ad un par suo che dassi a' feste, a giochi Ed a crapule in braccio. TREBONIO £ rer^ di lui Non può temersi. No'l togliam di nu^zzo; Viver gli torna, e riderà del fatto. ... ita campana suona) BRUTO Silenzio: udiamo l'ora. CASSIO E il terzo tocco. BRUTO Tempo è di separarci. CASSIO Ma rimane Un dubbio ancor ^ se Cesare quest^oggi Esca, o no. Di recente è nata in lui Tal superstizion che il suo buon senso Cesse a sogni, a chimere, a vani riti. Ed i prodigi manifesti e l'alto Inusato terror di questa notte E '1 consiglio degli àuguri far ponno Che non salga in tal giorno al Campidoglio. DECIO Non temete, se questo è il suo pensiero. Vincerlo io posso. Udir gli è grato come Sien traditori al liocorno i fronchi, Gli specchi all'orso, e come colto ip fossa Vien r elefante e 1 lion nella rete. «<«>« E r uom da chi Y adula. Or, s* io gli dico Glie i piaggiator detesta, ei mi confessa' Gh'è vero; e intanto più che Qiai piaggiato Egli è. Lasciate a me codesta cura. Trovar la giusta china a* suoi pensieri 10 posso; e vo' guidarlo al Campidoglio. CASSIO Anzi a cercarlo in casa sua verremo Noi tutti. BRUTO All'ora ottava: e questo il qiotto Ultimo sia. Cassio Sia questo; e nessun manchi. METELLO Gajo Ligario ei pur serba rancore A Gesare, dachè gli pose ammenda Del ben che disse di Pompeo. Ghe alcuno Non abbia a lui pensato ho maraviglia. BRUTO Ratto in traccia di lui, mio buon Metello, Vanne; ei m'ama, e da me n'ebbe cagione. Qui lo manda; disporlo è mio pensiero. Cassio 11 mattin ci sorprende. Or ti lasciamo. Bruto; vi disperdete, o amici; e solo Giò che qui disse ognun di voi ricordi: E vi mostrate omai veri romani. BRUTO Giovani egregi, a festa ed a letizia •CmJo Il viso or componete; e il nostro aspetto Non riveli il disegno; ma, qual sanno [ Gl'istnoni di Roma, esprimer. sappia Liberi spirti e naturai costanza. — Ed or, salute a ciaschedun di voi. - (.partono tutti i congiurati Jliori di Bruto} BRUTO Lucio! garzoni ^- Profondamente ei dorme. Dormi, friiisci la dolce rugiada Onde il sonpo t'aggrava: tu non hai L' ombre e i fantasmi che inquieta cura Desta all'uom nel cerébro; ed or per questo Dormi profondamente. Entra PORZIA. Signor. POAZIA O Bruto, o mio BRUTO , Porzia, che vuoi? Perchè dal letto Sorgi a quest^ora? Espor, come tu fai. La tua debil salute all'àer crudo Del mattin non è bene. . PORZIA E per te pure, O Bruto, non è ben. Dal letto or ora Scortese a me fuggisti; ed jeri a cena, o< 55 )o '< >. Dalla mensa d'impi^ovv.isD ia pie balzavi A passeggiar , sjerrate al sen le braccia , In gran pensiero, sospiroso; e quando Te'n chiesi la cagione, in me fissasti Toi^bidi gli occhi ; rinnovai ¥ inchiesta , E tu, coll'ugne tormentando il capo, Impaziente calpestavi il suolo. Pure insistei ; non rispondesti , e cenno Col fiero moto della man mi festi Che lasciar ti dovessi. E ti lasciai. Temendo rinfocar Y impazienza La cui fiamma pareva in te soverchia. Ma confidando ancor fosse un effetto Del tetro umor, di che quaggiù ciascuno Ha l'ora sua. Ma ciò ti tolse, il veggo, L'amor del cibo e le parole e il sonno; 'E se avesse a solcar le tue sembianze Qual già ti trasmutò l'intime tempre. Più ravvisarti, o Bruto, io non saprei. Il tuo secreto affanno, o signor mio. Aprimi. BRUTO E tutto qui: ben non mi sento. PORZIA Bruto è saggio: ei saprebbe, ove temesse Di sua salute , usar quanto più giovi A ricovrarla. BRUTO. Il fo, mia buona Porzia. . Ma ritorna al tuo letto. «< 5« >o PORZIA È dunque infermo Bruto, e medica cursi è per lui questa D'andarne a ber gli umori del mattino Seminudo cosi? Che? Bruto infermo? E dal letto benefico si fura, I tristi influssi della notte ei sfida, L' àer maligno, impuro ei tenta, il suo Male aggravando?... No, mio Bruto, inferma È bensì la tua mente; ed io saperlo Deggio, per dritto e per virtù del nodo Glie ci legò. Ti cado appiedi... Ab! m'odi; Per la bellezza mia lodata un giorno, Per gli amorosi tuoi voti, per l'alto E sacro giuro che di uoi già fece Un corpo, un'alma soJa , io te lo chieggo. Io di te parte, ed anzi altro te stesso. Che mài ti fa si cupo? e chi fùr quelli Che a te ricorser nella notte?... Ed io. Lo so, qui venner cinque o sei che il volto Nascondeano persino alle tenèbre. BRUTO Non piegarmi il ginocchio, o Poraia mia! PORZIA Bisogno non n' avrei , se tu pur fossi Quel mio Bruto d'un di! Nel nostro nodo Nuzì'ai, dimmi, o Bruto, escluso è forse Ch'esser noto mi debba alcun segreto Che t'appartenga? Ed un altro te stesso oo Non sarò che a misura ed a confine ? Teco sedermi al deseo e il letto tuo Confortar, teco favellar talvolta, E sol fuor della porta del tuo core Aver mia stanza?.. Se quest'è, di Bruto Porzia è la druda, non la sposa. BRUTO Oh! mia Vera sposa e d'onor degna tu sei! Tu più cara del sangue che la vita Nel tristo cor mi stilla. PORZIA Oh fosse! e noto Questo segreto a me saria. Son donna, Gli è ver, ma donna che per sua fu scelta Da un Bruto; donna sì, ma degna ancora Di quel nome ch'io porto, e a Caton figlia. Credi tu che più forte del mìo sesso Io non sia, con tal padre e tal marito?.. Dimmi i segreti tuoi: saprò serbarli. È già di Diia costanza io diedi un'alta Prova, figgendo volontaria il ferro Qui, nella coscia. E se tanto soffersi, Vuoi ch'io serbar non sappia i tuoi segreti? BRU'tO O Numi ! della mia nobile sposa Degno mi fate. — - Attendi ! alcuno batte. T'allontana 'un momento; in breve, a parte Degli àl*cani del mio sarà il tuo core. Ogni promessa che mi lega aprirti oo Io voglio, e quanto sulla cupa fronte Doloi* mi sta. — Sollecita or ti scosta. (.Porzia pariti Entrano LUCIO e LIGARIO. BRUTO Lucio, chi batte? LUCIO Un uomo infermo, e chiede Di parlarvi. BRUTO Egli è ben Cajo Ligario, Di cui Metello favellò. — (a Lucio) Garzone, Vanne. — Or bene, Ligario?^ < LIGARIO Un salve accogli Che debil lingua manda a te. BRUTO Qual tempo, Cajo, scegliesti per andarne in volta Con questa fascia! Oh tu non fossi infermo! LIGARIO Non son più inferino, se tien Bruto in mano Alcun fatto che nome sabbia d'onore. BRUTO E tal opra, Ligario, in mano io tengo. Ove tu, per udirla, avessi almeno o< 5»>o L' orecchio sano. LIGARIO Ecco! Pel- tutti i Numi, Cui si prostra il roQiaao, io d'ogni male Sciolgo il viluppo. — Alma di Roma! o figlio D'eroi, dal grembo dell'onore uscito! Tu in me, per forza d' esorcismo, svegli I tramortiti spirti. Or via, m'imponi Che pronto io corra; e tentar mi vedrai Non possibili cose, e compier quella Che più grave è fra tutte. - Oh! che far dunque? BRUTO Tal opra, o Cajo, che sarà d'infermi Corpi salute. LIGARIO Ma non v!han de' sani Che far bisogna infermi ? . BRUTO È ver, bisogna. — Qual sia l'impresa ti dirò, movendo Ove dobbiam compirla. LIGARIO À me sia scorta II tuo pie: caldo il cor di nova fiamma Te seguo; a quale opra non iso; m'è guida Bruto, e basta. BRUTO Con me dunque ne vieni. ipartono^ o< S0>o SCENA II. ROMA. Stanza nel palagio di Cesare. Tuoni e lampi. Entra CESARE in veste da notte. CESARE Ne ciel né terra ebbe in tal notte pace. Tre volte in sogno alto gridò Galpurnia: jiital ucddon Cesare! — Nessuno È qui? Entra un SERVO. IL S$RVO Signore! CESARE A' sacerdoti vanne, Impon cbe venga offerto «un sacrificio , E qual n'abbiano augurio a dirmi torna. «<6l>o IL SERVO Signor, m'affretto. {pavie) Entra GALPURNIA. GALPURNIA Cesare, che «pensi? Uscir vorresti? in questo di non devi ^ La tua casa lasciar. CESARE , Cesare il vuole. Qualunque cosa a minacciarmi sorse Non vide mai che le mie spalle; appena Miran Cesare in volto, e più non sono. CALPURNIÀ À' presagi un pensier non diedi mai, Cesare; eppur mi fanno oggi terrore. Oltre quanto abbiam noi visto^ ed udito, V'è tal uomo di là che orrende «cose Narra, vedute dalla guardia; d'una Leonessa sconciata in sulla via; E tombe spalancarsi, e uscirne i morti; E file, e squadre di guerrier* feroci Con giusto ordin di pugna in sulle nubi Urtarsi e battagliar; sul Campidoglio Piovere il sangue; alto fragor di guerra Bintronar tutto il cielo; ed il nitrire De' focosi cavalli e de' morenti Il gemito; e fantasmi per le vie •w iMilHWiH—ftì mm "^"" ' -~ il'ilW |-| ■ III ■> Jm ■ itiT -T—ÌIV -t •<«>o Il cuore non trovar. CBSARC Cosi gli Dei Voglion far onta alla viltà. Sarebbe . Cesare al par di bestia senza core, S'oggi il timor qui lo tenesse chiuso: Cesare no 'i farà. Fino il Periglio Conosce a prova che di lui più forte È Cesare! Noi siam quai duo l'ioni Atterrati. in un di: ma il più possente^ Il più tremendo ioson: Cesare in casa Non resterà. CALPURNIA Signore, in tal fiducia Tutta la tua saggezza, oimè! tu sperdi. Deh! non uscir. Di' che la mia temenza Oggi qui ti trattiene, e non la tua; Manda Antonio al senato; ei rechi toro . Che non ti senti bene; inginocchiata T'imploro; oh cedi a questo! CESARE Or bene, Antonio Dirà ch'io soh malato: e, a far contenta Questa tua voglia strana, io qui rimango. Enù^a PECIO BftUTO, CESARE Ecco, vien Decfo Bruto^ Ei dirà loro o,«« io Il mìo messaggio. DECIO f^7 j À Cesare salute. Buon giorno, o nobil Cesare! A te venni Per condurti al senato. CESARE £4 in buon punto Ne vieni, onde recar per me salute A' senatori, e dir ch'oggi non vengo. Cfa' io non lo possa è falso; ancor più falso Ch'io non l'osi; di' lor ch'oggi non vengo; Questo, e non più. CALPURNIÀ Di' ch'egli è infermo. V, V CESARE Come? Che Cesare a lor mandi una menzogna? E alla conquista il braccio mio si lunge Stesi, per paventar ch'io dica a quelle Canute barbe il ver? — Va, Decio, annunzia Che Cesare non vien. DECIO Signor possente, Dammi alcuna ragion; che non si rida Di me, quand'io ripeta il tuo messaggio. CESARE Il mio volere è la ragion: venirne Non 'voglio; e ciò, per il senato, basta. «=>< 65 )o Ma ia quanto a te, per satisfarti , sappi, Però eh' io t' amo , che Calpurnia mia Vuol da casa io non esca. In questa notte Sognò che la mia statua ella vedea Puro sangue versar, come fontana, Da cento bocche; e molti ivano a quella Forti romani sorridendo, e dentro A quel sangue tuffavano' le destre. Tali essa dice portentosi annunzj D' imminente sciagura ; e genuflessa Scongiurommi che in casa oggi io rimanga. DECIO Tutto a rovescio interpretato è il sogno: Vision bella e fortunata è questa. La tua statua sgorgante il vivo sangue. In cui lieti si bagnano i romani, Vuol dir che novo sangue e nova vita Da te Roma berrà; che a gara i suoi Chiari figli vorranno esseme tinti. Averne un segno, una reliquia, un'orma: Questo a dir viene di Calpurnia il sogno. CESARE Ben lo dichiari in co tal guisa. DECIO E meglio Vedrai da quanto a dir mi resta. Sappi (^h^ oggi al potente Cesare il Senato Offrir deliberava una corona: Or, se tu mandi che fra lor non vieni, Pón mutar di consiglio. Anzi, taluno VOL. II. Giul. Ces, o< M )o Motteggiando saprà volgerne il senso: r>lì Senato si sciolga; ad altro giorno, Quando verranno più felici i sogni Di Cesare alla sposa 99. Ov'ei s'asconda, Non correrà tra lor questo pispiglio: ttVedi, paura ha Cesare? 99 Perdona , Cosi mi detta il mio vero, si, vero Amor di tua grandezza ; e la ragione È sottomessa all'amor mio. CESARE Calpurnia , Non ti sembrano or folli i tuoi timori?... D' aver ceduto mi vergogno. — Rechi Alcun la toga mia ; vado in Senato. — Entrano PUBLIO, BRUTO, LIGARIO, METELLO, CASCA, TREBONIO e CINNA. CESARE Ed ecco Publio che a cercarmi giunge. PUBLIO Salve , Cesare. CESARE O Publio, a noi ben giungi. — Tu, Bruto, ancora, si per tempo uscisti? Buon di. Casca. - — Ligario, a te nemico Cesare non fu mai, più della febbre Che ti fé macro. — Ditemi : a qual ora E il giorno? -a— M^ ■.<»>■ •<«>o BRUTO All'ora ottava* CESARE Per la tua cura e cortesia. A te sien grazie Entra ANTONIO. CESARE Vedete; Antonio che la notte quant'è lunga In gozzoviglie spende , è pure alzato. Salve, Antonio. ANTONIO Al gran Cesare salute! CESARE Dite là dentro che s'appresti ognuno: Vergogna eli' è ch'altri m'attenda. — Or ecco Ctnna, ed ecco Metello. — E tu, Trebonio, Lung'ora oggi parlarti appunto io debbo. Avverti bene che t'aspetto, e tienti. Affinchè non ti scordi, a me vicino. TREBONIO Si, Cesare. — {fra sé) Vicin ti Starò tanto Che brameranno i tuoi migliori amici Ch'io ti fossi lontano. CESARE O buoni amici, =< «8>= Meco * poi la Noi simili ad amici , Dsiem a remo - BRUTO Ìfra,è^ Cesare Ogni 8ÌmÌl ne n è lo stesso. — Ecco e ò che tormenta il cor di Bruto. 1 (p«Mono> SCENA III. Una via presso al Campidoglio. Entra ARTEMIDOBO, leggendo uno scritto. autghidoro lUggt^ «Cesare, evita Bruto; e poni mente »A Cassio; a lato non tenerti Casca; flCinna adocchia; diffida di Trebonio; iNota Metello Cimbro; Decio Bruto nTe non ama; a Lìgario hai fatto offesa... "Tutti costor son d'una mente sola, »E volta è contro Cesare. Ti guarda, »Se immortale non sei; la sicurezza «Dà campo alla congiura. I sommi Dei «<«t>o «Ti scampino. Chi t'ama Àrtemidorp. » Finché Cesare passi io qui vo' starmi: Come un supplice , a lui darò lo scritto. Mi piange il cor che la virtù non poss^ Sfuggir secura dell' invidia al dente. — Cesare, se qui leggi i tu vivrai; Se no, co' traditor' congiura il fato. (parte) SGENA IV. BOMA. Un altra patte della stessa x^ia^ dinanzi la casa di Bruto. Entrano POBZU e LUCIO. POBZIÀ Te ne prego, fanciul: va, del Senato Corri al palagio... Non risponder, vanne! Perchè ti stai?.. LUCIO Perchè darmi il messaggio «=>o Debba male accader; temo che il possa. — Salute a te; la via qui troppo è angusta: La folla che si stipa alle calcagne Di Cesare, pretori e senatori, E volgo supplicante, affogar ponno Un vecchierello nella folla. Or voglio Guadagnar loco più sicuro e aperto, Ov'io parli al gran Cesare, al momento Ch'egli qui dee passar. (, parte) ponzu Ritrarmi è forza. Oimè! che debil cosa è il cor di donna! O Bruto, deh! sorrida il cielo all'alta Impresa tua! — Forse m'intese il servo... Bruto a Cesare porge una domanda Ch'ei non accoglie... Lassa! io manco... Ah! corri O Lucio, e mi ricorda al tuo signore. — Digli che lieta io son; poi torna e reca Di quanto ei t'avrà detto ogni parola. Cpartono") FINE DELL^ATTO SECONDO. o<7»>o ATTO TERZO oo POPILIO (a Cassio) A lieto fine L'impresa vostra oggi riesca. CASSIO E quale? POPILIO Addio. — (^i'atfanta vtrso Cesare) BRUTO Che disse mai Popilio Lena? CASSIO Augurò che l'impresa oggi riesca. Scoverlo io temo il nostro intento. BRUTO Osserva Con qual contegno a Cesare ei s'accosta: Notalo ben. CASSIO Casca, ti spaccia; temo Che ci prevenga alcuno. E che far , Bruto ? Cesare, o Cassio, (se la cosa è nota) Più non esce di qui: me stesso uccido. BRUTO Cassio, tien fermo. Del disegno nostro Lena non parla: vedi, egli sorride, Ne color muta Cesare. CASSIO Il Inion punto Trebonio sa trovar: guarda, in disparte eo Conduce Antonio. (yintonio e Trebonio s' allontanano j. Cesare e i Senatori si pongono nei loro seggO DECIO Ov'è Metello Cimbro? Fate ch'ei passi, e a Cesare presenti La sua domanda sull' istante. BRUTO È fatto. Or gli serrate attorno; il secondate. CINNA . Casca , tu primo devi alzar la mano. — CESARE (a Senatori) Siam tutti pronti ? — Qual abuso adunque Riformar denno Cesare e il Senato? METELLO Magnanimo , possente e valoroso Cesare , al pie ti pone un umil core Metello Cimbro. (^s' inginocchia) GJSSÀRE Io tei divieto, o Cimbro: Questo strisciar, queste onoranze abbiette Accender ponno de' volgari il sangue , I già fermi decreti e i primi avvisi Mutando in voglie da fanciullo. Or bene: Non lusingarti col pensier che sia Cesare mai di sì rubello sangue Da piegar la sua tempra a quanto appena *■ ij ■ I ■ 1^ o< 7» y=. Può rammollir Y anime sciocche: accenti Melati, io dico/ ed incurvar di schiene, £ di cane servii false carezze. — Il tuo fratello ha, per decreto, il bando : Se t'inchini, se preghi e per lui piaggi, Via da me , come botolo , ti scaccio. Cesare non è ingiusto, il sappi; e mai Senza ragione non mutò consiglio. METELLO ^ Voce non è più della mia possente Che suoni del gran Cesare all' orecchio , E che il richiamo del fratel proscritto Dolce m' impetri ? BRUTO (a Cesare) La tua mano io bacio, Ma non per adularti; e djà te chieggo Che a Publio Cimbro libertària data Di sùbito ritorno. CESARE E come , o Bruto ? CASSIO O Cesare, perdona! a lui perdona! Cassio ti cade umilemente a' piedi, £ invoca libertade a Publio Cimbro. CESARE Me commover sapreste, ov' io mi fossi Simile a voi: se per destar pietade Pregar potessi , dal pregar commosso o. 80 )o Forse n* andrei; ma fermo iO son, siccome L' artica stella che nel suo costante £ non mutabil centro altra compagna In ciel non ha. D'innumere faville E seminato il firmamento; ognuna È fiamma, e Ince han tutte; ma una sola Fra tutte immota sta. — Cosi nel mondo > D'uomini seminato; uomini tutti Di carne e sangile e d'intelletto: eppure lo so , fra tanto numero , sol uno Che imperterrito tiensi ed inconcusso Nel proprio loco. E quel son io; che darne Vo' lieve prova in questo ancora. Io tenni Fermo che Cimbro nell'esiglio andasse, E sto saldo del par ch'ei vi rimanga. GIURA Cesare ! . . . CESARE Lungi! Vuoi scrollar l'Olimpo?... DECIO O gran Cesare! . . . . CESARE E Bruto inutilmente Non s'è prostrato? CASCA Per me parla, o destra!.. {Casca ferisce Cesare nel collo j Cesare lo afferra per il braccio j egli allora è pugnalato da parecchi de' congiurati j e alla fine da Maixo Bruto') «<81 Jo GESAXE Tu pure, o Bruto?.. Or ben, Cesare, muori! (i Senatori e il Popolo si ritirano in tumulto') ' CINRA Franchigia! libertà!. La tirannia È morta! — Orsù, correte e per le strade Banditelo, gridatelo! CASSIO Correte Alle tribune! — Libertà si gridi. Franchigia e libertà! B&UTO Popolo, e voi Senatori, perchè vi sgomentate?.. State qui, non- fuggite. — Ambizione Pagò il debito suo. GiSSIO Va, corri. Bruto, Alla tribuna. DECIO E Cassio pur. BRUTO Ma Publio Dov'è? , . CIZfNA Lo vedi ancor tutto turbato Di quanto avvenne. TOM. II. Gioì, Ces. 6 «<«a>» METELLO Uniti e fermi stiamo, Che, di Cesare amico, altri potrebbe... BilUTO Di restar non si parli. — E tu, fa core, Publio; periglio alcun né te minaccia Né alcun altro romano. Or questo, o Publio, Proclama a tutti. CASSIO E scostati, che forse Il popolo, irrompendo incontro a noi. Agli anni tuoi recar potrebbe oltraggio. BRUTO Vanne. — Del fatto non risponda alcuno, Fuor degli autori , noi ! Ritorna TftEBONIO. CASSIO Chi vide Antonio? TREBONIO Fuggì, stordito, in casa sua. D'intorno Uomini, donne e fanciulletti vanno Sbigottiti gridando, e come fosse La fin del mondo. BRUTO O Fati! il voler vosti'o Qual sia vedremo. Che dobbiam morire Ci è noto; sol del tempo e del pensiero o<8S>o Di prolungar suo di Tuoma s^ affanna. CASSIO Si: chi vent'anni ctel suo viver tronca^ À se ti*anca vent'anni di paura Della morte. BRUTO La morte un beneficio Si fa con questa norma; e così noi Siam di Cesare a miei ^ poi che breve Gli fèmmo il tempo di temer la morte. — O romani, chinatevi! £ la destra Di Cesare nel sangue ognuno immerga Sino al cùbito, e il ferro ognun v'intrida. Indi al Foro coi^riajno, e, sovra i nostri Capi brandendo le sanguigne spade, Pace! gridiamo, libertà! franchigia! CASSIO Chiniamci dunque, e ci laviamo!.. Oh quante Future età vedranno in lingue ignote. Fra popoli avvenir, di questa grande Opra rappresentar T antica scena! BRUTO Quante volte, spettacolo a' venturi. Morrà codesta Cesare, che appiedi Del simulacro di Pompeo si giace Abbietto come polvere! CASSIO Ma dove Questo avvenisse, ne diran mai sempre Liberatori della patria nostra. <»<84>o DECIO Ed ora, usciam di qui? CASSIO Sì, tutti insieme. Bruto ci guidi e noi seguiaraue i passi. Noi, le più forti e probe alme di Roma. Entra un SERVO. BRUTO Sostatevi... Chi vien? D'Antonio un 6erYO. IL' SERVO Bruto, cosi m'impose il signor mio D' inginocchiarmi a te; cosi m' impose Antonio di prostrarmi, e si prostrato Ei m'impose di dirti: — Illustre è Bruto, Egli è saggio, magnanimo ed onesto: Valoroso, regal, possente e mite Cesare fu. Che Bruto onoro ed amo, Digli; che temei Cesare e l'amai, E onor gli feci. Se Bruto lo affida, Antonio a lui verrà, per esser certo Che Cesare da voi meritò morte. Digli che Antonio amar non potrà tanto Cesare estinto, quanto il vivo Bruto; Ch'ei seguirà la parte e la fortuna Del nobil Bruto; e ch'ei, pur tra i perigli Del novo stato, a lui terrà sua fede. — fosi ti parla Antonio il signor mio. •<•»>« BBUTO Saggio e prode romano è il tuo signore, Né r estimai diverso. A Ini riporta Che n'andrà satisfatto, ove gli piaccia Qui venirne; e potrà, suH'onor mio, Incolume partirsi. IL SBRVO A lui m'affretto. (parte) BRDTO Ben so, ne giova averlo amico. Cassio Il bramo: Pur, mi dice un pensier che di lui molto Temer si debbe, e sempre han colto il segno I miei tristi presagi. Rientra ANTONIO. BBBTO Ecco, egli stesso Qui giunge. — Ben venuto, o Marc^ Antonio. ▲mroNio O Cesare possente! £ cosi dunque Cadesti in fondo? E tue tante conijuiste. Tante glorie e trionfi e spoglie opime Si breve spazio ora qui serra?.. Addio. *- Non so qual sia, patrizj, il pensier vostro; S'altri debba cader nel proprio sangue, .<=»< W>o 1— S'altri per voi troppo sovrasti, ignoro: Foss'io m^desmo, ora miglior dell'ora }n cui morto fu Cesare non veggo; Né ferro altix) più degno delle vostre Spade, superbe del più nobil sangue Dell'universo. S'io vi sono infesto, Deh! sull'istante, pregovi, e con quelle Mani stesse, filmanti e. rosse ancora. Il desir vostro in me compite. Avessi. Mill'anni ancor di vita, e mai si pronto Al morir non sarei ; né in altro loco Né morte altra vorrei che qui, d'accanto A Cesare, e per voi, per voi che siete Di questa età le grandi anime elette. BRUTO Antonio, non pregar da noi la morte. Noi sanguigni e crudeli or ti sembriamo, E il mostran queste mani e il nostro fatto. Ma tu sol vedi queste nostre mani E quella che compiemmo opra cruenta; Ne' petti nostri tu non vedi, e ignori Quanta senton pietà. Pietà soltanto Per la vergogna de' romani (e fiamma Strugge fiamma così, pietà ptetade) Fece il grand^atto. — Ma per te, le nostre Spade han punta di piombo, o Marc' Antonio! Le nostrà braccia, in mezzo all'ira, e- i cori Ch' hanno tempre fraterne, eccoti, aperte Con bvKm intento e riverenza e amore. «K87 ^ CASSIO Quali t' Ogni altra varrà la voce tua Nel compartir le dignità Qovelle. BBPTO * * ' • - * Sol ti piaccia aspettar finché torniamo Cheta. la moltitudine, già quasi Per terror forsennata; e la pagioue . , Nota poi ti farò com'io, che amava Cesare ancor qus^ndo il percossi , a tale Opra m'accinsi. ANTONIO D^lla tua saggez^ Dubbio nou ho. Ciascun di voi, n^ii stenda La sanguinosa man! Prima la tua, . , O Marco Bruto, io stiùogo; e quindi serro, Cajo Cassio s la tua; la tua di poi, Decio Bruto., e la tua, Metello; or dammi La tua, Cinna, e la* tua, mio prode Casca; . E la tua, benché l'ultima, o Trebonio, Non l'ultimo nel cox'c! •— O voi patria) !.. . Che dire ? ahi lasso ! Or pende l' cuor mio Su lubrico terren, .sicché v'.è forza Per me di starvi fr^ d^e> mal' pe^isieiji : Che adulatore, ovver codardo io sono. — . Oh! ch'io t'amai, Cesare, é ver; se ancora A noi guarda il tuo spirto , non sarebbe Per te gran doglia. e più dura di. morte Veggeqdo «Antonio tuo pacifiqarsi Co' tuoi nemici? e. le sanguigne, destre Serrarne» anima grande, alla pri^n^ I-* •< W}o Del tuo stesso cadavere?;. Se quante' Hai tu ferite occhi m' avessi , e questi Si largo lacrimar, come il sanguigno Fiume che ne sgorgò, meslio a me fora Che non fermar co' tuoi nemici il patto D'amistà. Deh perdona, o Ciulio! Al varco, Cervo prode, t'han colto, e qui cadesti; E qui colorò che ti diér la caccia Stan coir impronte dell' eccidio , e ancora Di tua strage vermigli. E tu ben eri Il cuor del bosco a questo cervo , o mondo ! Ed egli stesso , o mondo ! era il tuo cuore. Or come cervo, che allo strai fu segno Di molti prenci, qui tu giaci. CASSIO Antonio ! ANTONIO Così denno parlar , Cassio , perdona , Di Cesare i nemici : onde la mia E fredda temperanza in un amico. CASSIO ■ I Perchè Cesare esalti io non ti biasmo. Ma qual patto con noi stringer tu pensi? Vuoi la parte seguir de' nostri amici, O tener dobbiam noi la nostra via Senza di te ? ANTONIO Pur or la mano ho stretta A tutti vói; ma traviò la mente, Ve lo " confesso , nel mirar eh* io feci <»<8»>o Di Cesare la spoglia. A tutti amico. Io sono, e tutti v'amo, in tal fidanza Che faì*mi aperta la ragion saprete In qual guisa e perchè Cesare fossfe Uom periglioso. BRUTO S*ei non Teraj questa Di barbarie sarebbe orrenda scena. Ma le nostre ragioni e giuste e buone Tornan così, che pur se fossi, Antonio, Di Cesare figliuol, pago n'andresti. ANTONIO Altro non bramo. Ed ora un novo prego: Ch' io possa collocar la salma sua Nel Foro, e qual s'addice ad un amico Parlar dalla tribuna, affinchè reso Funebre onor gli sia. ^ BRUTO Parlar potrai. CASSIO M'odi un istante, o Bruto. (/o trae in disparte) Tu non vedi Quel che fai. Non lasciar che Antonio parli Nel tempo dell' esequie. E non sai quanto Commover ponno il popolo gli accenti Ch'ei troverà? BRUTO Deh! sofiri. Io stesso voglio Salir pel primo la tribuna , e chiare n o<90'>o Dir le ragioni onde pes' noi si volle Di Cesare la morte; alta protesta Farò che qnanto Antonio dice, il dice Col nostro assenso, e che a noi stessi piacque A Cesare sìa reso onor di tomba. Siccome vuole il rito. E ciò ben torna Air util nostro, anzi che al danno. CASSIO Ignoro Quel che sarà; pur mi scontenta. BRUTO Antonio 3 La spoglia a te di Cesare. Ma bada, Nella funebre orazion , che biasmo A noi non vegna; tutto il ben puoi dirne Che t' avvisi , e soggiungi che per nostra Licenza il dici ; ovver, tu npn avrai Parte al rito funebre. E parlar devi Dalla ti*ibuna stessa a cui mi reco, E dopo.il mio discorso. ▲«TOMO Io vi consento; Di più non bramo. BRUTO Or ben, componi il corpo»; Indi ne seguii i partono tutti ^ fuori di Ani^nìo^ ▲«TOfflO Deb perdona» o cvela Sanguinosa» peardona ise con questi «<«l>o Tuoi carnefici io ^ob mite e cortese ! Tu la reliquia sei dell' uom più grande Che nel giro de' tempi al mondo visse. Maledetta la man che il prezioso Tuo sangue ha sparso! Da queste . ferite Una virtù mi yien che del futuro Squarcia il velame : Quasi mute bocche^ Apron le lor vermiglie labbra, e suono Dalla mia lingua invocano e parola. — La vendetta del ciel suU' empia razza Degli uomini cadrà; lotte civili Ed intestine furie Italia tutta Semineran di morti; e strage e sangue Farsi costume; e le più orrende cose Natui*ali così, che fin le madri Sorrideran, mirando lacerati Dalla man del guerriero i lor bambini; £ soffocata ogni pietà dall'uso D' opre atroci ; e dì Cesare V irata Ombra fremer vendetta e dall' Averno Uscita fuor d' Aletto in compagnia, Furibonda vagar per questi lidi , Gridando strage con voce tonante Qual di monarca; e rompere il guinzaglio Della guerra ai tioni, infin che vegga Pel gran delitto fumigar la terra D' insepolti cadaveri , ploranti Invan la fos^a. Entra un SERTO. AIITONIO Non se' tu , non sei Servo d'Ottavio Cesare? n. SERVO Lo sono. ÀNTORlO Cesare a lai sorìvea che ne venisse A Roma. n. SERVO Il foglio gli pervenne: in via Si pose, e per me intanto a 'dirvi manda... {vedendo il cadavtn di Cuore') Ahi, Cesare!.. IKTOKIO Il tuo cuore è gonfio, il veggo: Vanne in disparte e piangi. Un gran dolore Ratto s'apprende, e gli occhi miei, mirando Sì pregni i tuoi dell'angosciose stille, A lagrimar cominciano... Ma, dimmi. Il tuo signor qui viene? IL SERVO Ei posa a sette Leghe da Roma in ijuesta notte. IHTONIO Pronto tuoi ritoma; e quanto avvenne insia. E questa una piangente Roma, oo Questa una Roma di perigli piena: No, per Ottavio qui non è, salvezza. Corri, e ciò gli dirai» — Ma pure, aspetta: Partir non dèi, finché per me non sia Condotta al Foro questa salma: io stesso, . Nella fùnebre arringa, andrò spiando Come il popolo miri il crudel fatto Di questi ebbri di sangue. In cotal guisa Noto al giovine Ottavio indi farai À che venute qui saran le cose. — Intanto, dammi mano. i partono j trasportando il cadavere di Cesare) SCENA IL ROMA. // Foro. Entrano BRUTO e CASSIO, ed una folla di CITTADINI. CITTADINI A noi ragione ■1 allorché l'uno e l'altro A parte inteso avremo. dparte Cassio con alcuni Citta" dinij Bruto sale i rostri} TERZO CITTADINO Il nobil Bruto E sui rostri. — Silenzio! BRUTO Pazienti Me vogliate ascoltar sino alla fine. — Romani, cittadini, amici, udite! Della mia causa vi ragiono ; udirmi In silenzio vi piaccia. A me credete, SuU'onor mio; rispetto all'onor mio Vi cerco, onde possiate avermi fede. Giudicate di me nel senno vostro; j «=<«S>«4 Destate la ragion, perchè migliori Giudici io m'aM>ia in voi. Se v'è in codesta Adunanza chi sia tenero amico Di Cesare, a lui dico che di Bruto Non fu l'affetto al suo minor: se poi Mi chiegga questo amico a che levossi Contro a Cesare Bruto, io gli rispondo : — Minore in me di Cesare l'affetto Non fu; più grande fu l'amor di Roma. Forse Cesare vivo, e tutti voi Schiavi morir, parvi miglior fortuna, Anzi che spento Cesare e voi tutti Liberi qui?.. Cesare, è ver, m'amava, E il piango: era felice, ed io per lui N' esulto ; era valente e onor gli rendo ; Ma pur fu ambizioso; ed io l'uccisi. Lagrime per l'amor, per la fortuna Ho gioja, onor per la prodezza, e morte Pel* la sua cieca ambizYòn. — Chi mai Si vile è qui che schiavo esser voiTia? Se alcun v'è, parli: verso a lui son reo. Chi /SÌ stolto che nieghi esser romano? Se alcun v'è, parli: verso a lui son reo. Chi si codardo è qui che la sua patria Non ami? se alcun v'è, parli: son reo. — Ed or, chi mi risponda aspetto. CITTADINI Alcuno, O Bruto, alcun non v^è. ( molti esclamatto insitmc') o< W>o BRUTO Dunque 9 non sono In verso alcun qui reo. Né ciò che feci Contro Cesare è più che non dovreste Voi contro Bruto. Là, nel Campidoglio, ; Della sua morte la ragion fu scritta, Senza scemar la gloria ond^era degno, Senz'aggravar le colpe ond'ei sofferse La morte. Entrano ANTONIO e^i ALTRI, accompagnando il cadavere di Cesare. BRUTO La sua spoglia ecco s'avanza. Il fùneral corteo ne guida Antonio, Che mano, è ver, non diede alla sua morte, Ma che pur d'alto incarco averne il frutto Potrà nella repubblica. E qual mai Non n'avrà di voi tutti? — Or, con tal voto Da voi mi parto. Gom'io spensi il mio Migliore amico per lo ben di Roma, Cosi questo pugnai sei*bo a me stes$o. Per quel di che la patria abbia di mia ' Morte necessità. CITTADINI No! viva Bruto! Viva! Viva! ■ ite*.*^ * iWiiiuMili m •o PRIMO CITTADINO Olà restate! Antonio udiamo^. TBR2fO CITTADINO Ascenda La tribuna, e l'udiam. Nobile Antonio, Alla tribuna! ANTONIO Per l'amor di Bruto, Questo vi deggio. QUARTO CITTADINO Che dice di Bruto? TERZO CITTADINO Di Bruto per Tamor, grato si dice A noi d' un tal favor. QUARTO CITTADINO Meglio per lui, Se di Bruto sparlar qui non s' attenti. PRIMO CITTADINO Fu tiranno quel Cesare. TER^O CITTADINO . E ben certo: Ma, noi felici! di lui. franca è Roma. SECONDO CITTADINO Silenzio! udiamo quel che Antonio dice. ANTomo Generosi romani . . . CITTADINI Olà ! silenzio : Udiam. •{99 )9 ««i^Miiai*- ARTONIÒ Romani , cittadini . amici l Datemi orecchio. A Cesare io qui rendo Di tomba onor, non laude. Oltre la morte Vive il mal che fa T uomo; e il ben sovente Col cener si^o viene sepolto. E Sia Di Cesare così. Fu ambizioso Cesare, ve Io disse il nobil Bruto: S' è ver, gran colpa fu la sua; ma grande Fu ben anco T ammenda., Ora, di Bruto Col pieno beneplacito e degli altri, (Uomo orrevole è Bruto, e al par di lui Tutti orrevoli, tutti) a far parola Nel funeral di Cesare, qui vengo. Egli fu amico mio giusto e fedele; Ma Bruto il dice ambizioso; ed uomo Onorevole è Bruto. — In Roma Cesare» Stuol di captivi trasse, il cui riscatto Colmi ha i pubblici erar). Ambizioso In ciò vi parve? Quando vide in pianto I poveri, egli pianse: Ambizione Chiede più dure fibre. Eppur vi dice Bruto ch^egli era ambizioso; ed uomo Onorevole è Bruto. — Or lo vedeste Voi tutti a^ Lupercali, io ben tre volte Regal corona gli proffersi; ed esso Tre volte rifiutò. Fu ambizione?.. Ma Bruto il dice ambizioso, ed uomo Onorevole è Bruto, in. fede mia. — Non parlo per dannar ciò ch'egli disse. o^ 100 >o Ma quel dico eh' io so. Voi tutti un giorno L'amaste pur, né fu senza cagione; Or, qual 9agion di piangerlo divieta? — Fra le stupide belve, oimè! fuggisti O senno, e l'uomo ha la ragion perduta. Deh! m'abbiate mercè; poiché il mio core Con Cesare sta chiuso in questa bara; E convienmi aspettar che a me ritorni. PRIMO CITTADINO Farmi gran senno nel suo dir. SECONDO CITTADINO Se noi Ben pesiamo la cosa, un grave torto A Cesare si fé. TERZO CITTADINO Che sia, compagni? Ben temo che un peggior ne prenda il loco. QUARTO CITTADINO Notaste quel ch'ei disse? La corona Non volle; è certo, dunque, aihbizioso Egli non fu. PRIMO CITTADINO Se questo é ver, ben caro Alcun dovrà scontarla. SECONDO CITTADINO Anima buona! Mirate! come fiamma ha rossi gli occhi Dal piangere. TERZO CITTADINO Non avvi in tutta Roma o< 101 )o Più nobil cor d'Antonio. . QUARTO CITTADINO Or, date orecchio; Ei ritorna a parlar. ANTONIO Soltanto jeri Di Cesare la voce all'universo Resistere potea: qui steso ei giace Oggi; e nessuno è si meschin che creda Dovergli onor. Se i vostri cor, le menti A rivolta, a furor, punger volessi, O cittadini, a Bruto onta farei. Onta a Cassio; che son, voi lo sapete, Onorevoli tutti. Offender essi Non vo'; meglio far onta a questa salma, A me stesso ed a voi, che lieve torto Ad uomini recar di tanto onor«. — Ecco una pergamena, che munita . È del suggello suo; nella segreta Sua stanza la trovai: quest'è T estremo Di Cesare voler. Se il popo^ mai Tal testamento udisse (e perdonate Se leggerlo non credo) oh! tutti, tutti Di questa salma a baciar le ferite Correr vedrei, tutti a bagnar nel sacro Suo sangue i lini, ad invocarne un solo Capello in ricordanza; e questo poi. Giunto a mojte, nomar cplla suprema Lor volontà come il miglior retaggio Legato a'proprj Ggli. o< 102 >o QUARTO CITTADINO Udir vogliaiùo Il testamento. Antonio » leggi. CITTADINI Leggi, Leggi, Antonio! Di Cesare vogliamo Udir l'estrema volontà! ANTONIO Soffrite, Amici miei, legger non debbo. Quanto V'abbia Cesare amato^ è meglio assai Che no'l sappiate. Oh! dure elei non siete, Ne macigni, ma uomini; e per certo. Uomini sendo, il suo voler, se appena L' udiste, vampa di furor sarià Per tutti voi. Ch' eredi suoi vi nomi Ben vi giova ignorar: se lo sapeste. Che mai sarebbe? QUARTO CITTADINO Il testamento leggi! Vogliamo udirlo, Antonio: leggi, leggi Di Cesare il voler. ANTONIO Di pazienza Fate prova;, indugiate almep per poèo. Di ciò parlando, troppo innanzi io corsi; E recar temo offesa agli onorandi Cittadini che Cesare hanno spento Co'lor pugnali; il temo. o< W$>o QUARTO CITTADINO Traditori Sdii essi, gli onorandi! CITTADINI Il tesatameli to! SECONDO CITTADINO Scelerati essi furo ed omicidi: . . Il testamento! ^ . ANTONIO A legger mi forzate Il testamento? Or ben, fate corona Di Cesare alla spoglia, e di mostrarvi Colui che lo dettò mi sia concesso. Scender, poss'io? lo consentite?.. CITTADINI Scendi. . SECONDO CITTADINO Vieni! CAnionio scvìde dalla tnbuna') TERZO CITTADINO Assentiamo tutti! » QUARTO CITTADINO Fate cerchio: In ceixhio tutti. PRIMO CITTADINO Lontan dalla bara ! Largo intorno al cadavere! SECONDO CITTADINO Ad Antonio, Al grande Antonio -fate spazio! «>< 1^4 >o ANTONIO Ob! tanto Non mi serrate; state un po' discosto. CITTADINI Largo, largo ad Àntohio! indietro, indietro! ANTONIO Se voi lagrime avete, om a versarle V'apprestate. Ben noto è a tutti voi Codesto manto: della prima volta Che Cesare lo mise io mi ricordo: E'fu una sera estiva entro la sua Tenda, quel dì che i Nervii ruppe. — Ed ora. Guardate! qui lo trapassò di Cassio Il pugnai; qui guardate, ecco lo squarcio Che vi lasciò Tinvidò Casca, ed ecco Dove Bruto il trafisse, il ben amato! £ quand' ei fuor ne trasse il maladetto Ferro, oh! mirate di Cesare il sangue Còme sgorgando il seguitò, qual fosse Voglioso di saper se veramente Fu Bruto.il feritor! Ch'egli, v' è noto. Era qual Nume a Cesare. Deh voi Ditelo, o sommi Iddìi, quanto Pamassfe! — Di tutti i colpi il più crudel fu questo: E quando iu atto di ferir lo vide Il gran Cesare, allora, assai più forte D' ogni altro braccio traditor, la vista Di tanta sconoscenza a un tratto il vinse; E si spezzò quel cor possente; e in questo Manto la faccia ravvolgendo^, al piede «K tW )• Del simulacro di Pompeo, già fatto Per ogni pio^ di sangue gi;ondante, Il gran Cesare cadde. — Oh I qual caduta , Cittadini! Àllor fin. eh' k) stesso e voi, £ tutti quanti in un cademmo! InUnto La sanguinosa l^adigion^ rotava Sui nostii capi il ferro. — Or sì, piangete Or sì, vi batte la pìetade in core, £ generose lagrime son queste. O cuori egregi! voi dunque piangete Solo mirando il lacerato inanto Di Cesare?.. Oh! vedete, ora vedete, Squarciato qui, dai traditor, lui stesso! 9 PRIMO CITTADINO Misera vista! ... SECONDO CI,1}TA9INQ gran Cesare! • TBII20 CITTàDlHO Oh giorno Di sciagura! QÒABTO GtT7ADIN0 GÌ' iniqui, i traditori! PHIMO CltTADENO Spettacolo di sangue! SECONDO CITTADINO Orsù, vendetta! Vogliam vendetta! -Àndiam.; cerriiiaiho intorno. S'incl^nda! fuoco! movte ed e^termioìò! Non campi un solo traditor. •< !«<)• iNTOmO Feripate, Gittadiai! PRIMO CITTAOmO Tacete: ÀutODÌo udite. SECONDO CITTADINO Udiamo, e ti seguirero, morrem con lui! ANTONIO Buoni, diletti amici miei! soffrite Che non vi spinga io stesso in questa piena Vorticosa, ribelle. Uomini degni Di sommo onor l'impresa hanno compiuta: Ignoro, oimè! da quai privati affronti E' fossero spronati; uomini tutti Saggi, onorandi; e che sapran, per fermo, Ragion darvi del fatto. Io qui nOn vengo Insidioso a penetrarvi in core. Che non sono oratoi*, siccome è Bruto; E me voi tutti conoscete; uom rozzo E semplice son io: Io sanno anch'essi Que'che mi diéro di parlar licenza: Non ingegno, non grazia o Ijeggiadria, Ne la voce, né il gesto e la parola Che move il sangue di chi n'ode. Il vero Dico qual è; ciò che sapete io parlo; Del buon Cesare io mostro le ferite (Misere, oimè! misere e mute bocche) Pregando loi* che parlino in mia vece. Ma foss'io Bruto e Bruto Antonio, oh tale Un Antonio ei sarebbe, che agitando o=» T£RZX> CITTADINO grande, o regal Cesai^e! ijiTomo M'udite. CITTADINI Silenzio, olà! ANTONIO Vi lascia, inoltre, tutti 1 suoi giardini e le private vigne, E gli orti di recente in sulla riya • Del Tevere piantati; a voi li lascia Ed in perpetuo a' vostri . eredi , amene E pubbliche delizie, a tutti voi iPer diporto e sollazzo. — ' Ecco qual era Un Cesare. E verrà chi lo par^gi? PAIMO CITTADINO No, mai, mai! — Su venite, andiamo, andiamo! S'arda la -spoglia sua nel sacro loeo; E co' tizzoni incenderem le case De' traditori. — Sollevate il corpo. SECONDO CITTADINO Ite, recate il foco. ^fiaZO CITTADINO Rovesciate I seggi. QUAAXO CITTADINO Distruggete, ordini e logge E tutto! ^partono i Cittadini recando il cad^^tre di Cesare) «('iHX' ANTONIO Ora, da sé Topra cammini. Sei scatenato, o turbine! Scoscendi Ove tu vuoi. — Che rechi? Entra un SERVO. IL SERVO Ottavio è in Roma, Signor. ANTONIO Dove? IL SERVO Con Lepido se'n venne Di Cesare all^ case. ANTONIO A visitarlo Io corro: ei vien sì pronto alla mia brama! Lieta è fortuna, e nel suo buon sorriso Tutto donar ci vuole. IL SERVO A dir Tintesi Che Bruto e Cassio, forsennati quasi. Sui lor cavalli attraversar di Roma Le porte. ANTONIO Forse giunse a lor novella . Dell'ira popolar per me destata. Ad Ottavio mi guida. {partono) oo ATTO QUARTO TOH. 11. Giul. Ces. 8 cK US\9 SGENA I. ROMA. Una stanza nella casa d'Antonio. ANTONIO, OTTAVIO e LEPIDO seduti ad una tavola, ANTONIO l^ostor dunque morranno. I nomi loro Son già puntati. OTTAVIO E tuo fra tei morire Debbe ancor esso, o Lepido. — Consenti 2 LEPIDO Consento. OTTAVIO Or ben, lui pure, Antonio appunta. LEPIDO Ma con tal patto, Antonio, che non viva e< 116 ^ Publio, figliuol di tua sorella. ANTONIO E' muoja: Ecco lo spaccio con un punto. Or vanne Di Cesare alla casa, e qui ci reca Il testamento: di tosar vedremo Qualche legato a nostro carco. LEPmo , E voi Qui troverò? OTTAVIO Qui certo, o in Campidoglio. {Lepido parte} ANTONIO Un dappoco è costui, nudo di merti. Sol atto a far messaggi. E ti par bello Che del mondo, in tre parti ora diviso; Una a lui tocchi? OTTAVIO Di costui tu stesso Tal pensiero facevi, e la sua voce Da te fu scelta fra i segnati a morte Nell'atra lista de' proscritti. ANTONIO riorni Yid' io ben più di te: se noi poniamo Sovra lui tanto onor, per disgravarci D'altre odiate some, egli soltanto Lo porterà, come giumento l'oro. «Sinjo Sotto il suo peso sudando ed ansamdO) Condotto od incalzato in sulla via Che noi gli additerem: poiché tradotto Abbia il nostro tesor dove ne grada, Ripiglierem la soma; e rincacciato Come scarco somier, le orecchie scosse, A pascere n'andrà l'erba comune. OTTAVIO Fa come stimi; pur soldato esperto ^ £ valoroso egli è. ANTONIO Sì, come il mio Cavallo, Ottavio : ed io, perciò, gli ho fissa Già la profenda sua. Credi, gli è questo Un animai che alla battaglia addestro, A volteggiar, fermarsi, o far carriera, SI che del mio voler sente il governo Ogni moto di lui: Lepido in parte Altra cosa non è; gli fa bisogno Chi l'ammaestri, il guidi e in via lo ponga; Uno spirto infecondo, un che si pasce D'arti e d'usanze e d',ogni cosa, quando Smessa e venuta rancida ad ogni altro Ne fa sua foggia. Ma non più di lui. Se non come di cosa al tutlo nostra. — Or, grandi nuove, Ottavio, intendi. Vanno Bruto e Cassio assoldando armata gente: A lor bisogna tener fronte e tosto. Stringiam dunque alleanza, ed i migliori Amici ragunando, usciam con tutte «K 118 >o Le più valide posse. Ora consiglio Si faccia, per veder come più giovi Aprir le cose occulte, ed i perigli Aperti distornar. OTTAVIO Sia pure. Or siamo Qual fiera avvinta al palo, a cui dintorno Latran nemici in folla; ban molti un riso Sul labbro e mille tradimenti in core. (partono) SCENA n. SARDI. Dinqnzi la tenda di Bruto j nel campo vicino a Sardi. Suono di tamburi. Entrano BKVTO, LUCILIO, LUCIO e SOLDATI, TITINIO e PINDARO dall'opposta parte. BRUTO Fermate. o< 11»^ LUCILIO Ls^ palmola! olà, fermate. BAUTO • O Lucilio, che v'ha? Cassio è vicino? LUCILIO È qui : Pindaro viene a salutarti Pel silo signor. ^ (^Pindaro dà una lettera a Bruto) BRUTO L'ho caro, — Il tuo signore, O perchè si mutasse, ovver pe' tristi Locotenenti suoi, mi die cagione, Pindaro, di bramar non fatto ancora Quanto è fatto: ma pur, s'egli qui giunse, Satisfarmi potrà. ' PIMDABO Dubbio non veggo Che il mio nobil signor, qual è, t'appaja; Pien d'ossequio e d'onore. . BRUTO E chi sospetta, Di sua fede? — Lucilio, una parola: Come t'accolse? di', vorrei saperlo. / LUCILIO Con bastante rispetto e cortesia, Ma non con quella famigliar premura Né con quel ragionar libero, amico Che un tempo usava. «<.«0>o BRUTO Uà caldo amico hai pinto Che divien freddo. Avverti ben, Lucilio: Quando inferma e trapassa, usa l'amore Sempre forzate cortesie. La buona, Semplice fé non ha tal arte: invece ' L' upm finto è qual destrier che pare ardente À chi r imbriglia e d' impeto gagliardo Fa gran mostra e promessa; indi, se appena Sente lo sprone sanguinoso, a terra La cervice depone, e come vile Ronzin soccombe. — £i vien coir armi sue? LUCILIO Cercar pensano a Sardi, in questa notte. Alloggiamento. Il grosso delle schiere E i cavalli son già con Cassio in via. i Guerriera marcia di dentro^ BRUTO Ei vien.: con far cortese ad incontrarlo Moviamo. Entrano CASSIO ed i suoi SOLDATI. CASSIO Olà, fermate! BRUTO Olà, fermate! «<«*>• E passi la parola. V0€1 idi dentro) • Olà, fermate! — ALTRE YOGI Fermate, olà! •— CASSIO (a Bruto^ Mio nobile fratello, Onta mi festi. BRUTO O Dei, mi giudicate! Onta al nemico mai non feci. Or come Al fratello far onta? CASSIO O Bruto, questi Tuoi modi austeri celano un'offesa; E quando offendi... BRUTO Cassio, espor ti piaccia Senza rancor la tua querela. — Io bene Te conosco: al cospetto delle nostre Genti, che di noi due veder non denno Altro che 1* amistà, deh! non veniamo A litigio. Allontana i tuoi soldati; E poi nella mia tenda ad aprir vieni Le tue doglianze: e potrò darti orecchio. CASSIO O Pindaro, comanda che le schiere A breve spazio di terrea ritratte Sien da'lor capitani. <=< IM>o BRUTO E tu lo stesso Lucilio fa. Nessuno alla mia tenda, * Fin che dura il colloquio, osi accostarsi. Siéno guardia all'entrar Titinio e Lucio. (, partono) SCENA 111. Interno della tenda di Bruto* LUCIO e TITINIO a qualche distanza. Entrano BRUTO e qASSIO. CASSIO Che a me recasti oiFesa è manifesto: Dannato hai Lucio Fella e lo notasti D'infamia, qual venduto a quei di Sardi; E di quanto a te scrissi, in suo favore Pregando, poi ch'io ben^-^lo conoscea. Nulla ti calse. BBUTO Offesa a te medesmo •< 128 Jo Fe^ti, scrivendo in simil caso. CASSIO In tempi Conformi a questo, non è ben che tanto Si frughi sovra ogni più lieve torto. BRUTO Cassio, tu stesso, e ch'io Io dica assenti, Hai brutta fama d' uom di mano ingorda; Che gli uffici per Òr vendi e baratti A chi n'è indegno. CASSIO Ingorda mano?.. È Bruto Chi parla; e s'altri fosse, oh, per gli Dei! Saria questo suo detto il detto estremo. BRUTO E del nome di Cassio una si vile Corruzion s" onora; onde il castigo È forza occulti il capo. CASSIO Che? il castigo? BRUTO Del Marzo ti ricorda; ti ricorda. Gl'Idi di Marzo! — Del gran Giulio il sangue Non corse allor della giustizia in nome? E stato vi sarebbe un tal perverso Da trapassargli 11 petto, se non era Della giustizia in nome? Ed un di noi. Un di coloro onde percosso giacque «< m)o L'uom più sovrano che mai vide il mondo , Sol perchè a' ladri die favor, d'infame Prezzo or potria contaminar le mani? E dell' onor la gloriosa e larga Parte vender così, per vili frusti Quanti un pugno ne serra?.. Oh si! piuttosto Essere il cane che latra alla luna, Che tal romano^ CASSIO Cessa le rampogne, O Bruto, io non le soffro: te medesmo Dimentichi, ponendo a me confine. Soldato io son, son io di te più antico Nell'armi, a patteggiar di te più sperto. BRUTO No, Cassio, tu no'l sei. CASSIO Si. BRUTO No, ti dico. CASSIO Non istigarmi; che scordar me stesso Potrei; bada al tuo meglio e non tentarmi. BRUTO Upm dappoco, va, lasciami! CASSIO Che sento? BRUTO M'odi, ch'io vo' parlarti. Aprir la via •< 125 >«» Dovrei della tua cieca ira al torrente? Tremar, perchè imperversa un forsennato? CASSIO O Numi! Numi! E tutto questo io soffro?.. BRUTO Si, tutto ed altro ancor. Fremi, fintanto Che il cor superbo ti si spezzi. Vanne, Mostra a' tuoi schiavi come in te può T ira, E fa tremar chi tieni alla catena. Ma ch'io mi scuota? ch'io di te mi curi? Ch* io pie non mova, eh' io m' accosci ad ogni Tuo sdegnoso capriccio?.. Oh! per gli Dei, Il veleno smaltir della tua rabbia Tutto dovrai, scoppiarne anco dovessi; . Poiché da questo dì per mio trastullo Ti tengo; si, per sol mio gioco, quando T'arrovelli cotanto. CASSIO A tal siam giunti ? BRUTO Ti vantasti di me miglior soldato. Or, danne prova; fa verace il vanto. Te ne saprò buon grado: e, per mia parte. Vorrei lieto onorar come maestri Uomini egregi. CASSIO Tu m'offendi, o Bruto; M'offendi sì, per ogni via: più antico Soldato io dissi, e non miglior. Diss'io Miglior?.. • a me non cale, Cassio Se ancor vivesse, pungermi cotanto Non oserebbe .Cesare. BRUTO Deh taci, Taci ! tu stesso non avresti osato Di provocarlo. CASSIO Osato io non avrei! BRUTO No. CASSIO Non avrei di provocarlo osato? . BRUTO Per la tua vita, osato non l'avresti. CASSIO Oh! non presi^mer troppo della mia Amistà: far potrei cosa che, appresso, Mi costei^ebbe pentimento, BRUTO E cosa, Di che pentirti già dovevi, hai fatto. Cassio non ho terror di tue minacele: Della mia probità sotto l'usbergo. Come soffio ozioso, a me vicine Passano^ ed io non guato. — A te mandai Per certa somma d'oro, e la negasti: Ch' oro per vili mezzi io non ricerco; o< ia7>o E vorrei 9 per lo ciel! prima far conio Del mio core^ ogni stilla del mio sangue Fondere in dramme che alla, man callosa De' villani strappar con modi iniqui I lor miseri avanzi. Oro ti chiesi A pagar le milizie, e rifiutasti. Questo un Cassio facea? Questa a me dava Risposta Gajo Cassio? Ove divenga * Marco Bruto si sordido che tali Gonii ribaldi a qualche amico nieghi, Tutti i fulmini vostri, o Dei, scagliate A lacerarlo! CASSIO Io no'l negai. BRUTO L'hai fatto.' CASSIO ]No ! folle era colui che tal risposta Ti recò. Bruto m'ha spezzato il core. Compatir dell'amico alle fralezze Dovria l'amico: ed or le mie, più grandi Che non son le fa Bruto. BRUTO Io no, fintanto Che saggio non me'n dai. CASSIO BRUTO Le tue colpe npn amo. Me tu Don ami. •< tM>o CASSIO A tali colpe Giunger mai non dovrebbe occhio d'amico. BRUTO Occhio d' adulator non lo vorrebbe, Benché vaste s'ergessero all'altezza D' Olimpo. * CASSIO Antonio, vieni! oh vieni, Ottavio, E di Cassio vendetta or vi prendete! Stanco è Cassio del mondo; all' uom ch'egli ama Odioso; oltraggiato da un fratello; Come uno schiavo vilipeso; e tutti Spiati i falli suoi, posti in tabella, E impressi nella mente e numerati, Per gittarmeli in faccia. — Oh! almen lo spirto Versar potessi col pianto dagli occhi!.. Ecco il mio .ferro, ecco il mio petto ignudo; E qui dentro, maggior d'ogni ricchezza, E dello stesso oro di Fiuto, un core. Or tu lo strappa , se romano sei : Chi l'oro ti negò, t'offre il suo core. — Colpisci, come in Cesare già festi. Ben so che, quando a te più esoso egli era, L' amavi più che non amasti mai Cassio. BRUTO Riponi il ferro, e l' ire sfoga Quanto più vuoi, che libero ti lascio: Ciò che vuoi fa: dirò eh' è la vergogna •<1M)*» Un capriccio pev te. Gou un agnello, Cassio, aggiogato sei che l'ira chiude Come foco la s^lce ; ove tu forte La percuota, scintilla, e tosto è fredda. CASSIO E Cassio non vivrà che per vedersi. Quando T affanno o il mal temprato sangue Gli dan ' corruccio , fatto riso e giuoco Del suo Bruto? BRUTO In me pur, quando Io dissi, Parlò la mala tempra. CA^SSIO Oh! tu r assenti? Dammi la destra. bruto' E il cor. CASSIO Bruto? BRUTO Che vuoi? CASSIO Amor per me non hai quanto ti basti L'iroso umore a sopportar che diemmi Mia madre , e che di me troppo sovente Dimentico mi fa? BRUTO Sì, Cassio; e quando Avvenga d' ora in poi che col tuo Bruto voL. D. Giul Ces, 9 o< 130 H» -r Ti sdegni, ei penserà che allor s'adira Tua madre, e motto non farà. ^strepito di dentro') IL POETA idi dentro) M' aprite Il passo ai Capitani: io vo* vederli. V'ha del cru<ìcio fra loro; e non è bene Lasciarli soli. LUCIO (c/i dentro) Entrar, tu, non potrai. IL POETA idi dentro) Altro arrestarmi non potrà che morte. Entra il POETA. CASSIO • Or ben, che v' ha? IL POETA Qual'onta, o Capitani? Che fate voi?.. V'amate, e come a due, Pari a voi, si conviene, amici siate: Anni e molti vid'io, ve ne do fede. Ben più di voi. CASSIO Ve', ve'! che strani versi Questo cinico azzecca. BRUTO Esci! ti scosta; Scemo, insolente! ©< 131 ;•' CASSIO Il soffri y o Bibulo; è questo Il vezzo suo, BRUTO Saprò piegarmi a lui Quando il buon punto ei coglierà! Bisogno Di tai folli cialironi ha forse il campo? Sgombra tosto di qui. CASSIO Su via, ti scosta. » (i7 Poeta parte') Entrano LUCILIO e TITJNIO. BRUTO Voi, Lucilio e Titinio, accomandanti Date avviso che apprestino alle schiere Per questa notte alloggiamento. CASSIO * E poi Tornate immantinente; e sia condotto A noi Messala. ( Lucilio e Tìtinio partono) BRUTO Una coppa di vino, ' Lucio ! CASSIO Non mi credea che tu potessi Adirarti, cosi. o< t32 )o BRUTO Per molti affannr Egra ho T anima, Cassio. CASSIO Uso non fai Di tua filosofia, se il cor tu schiudi Ad ogni mal che d' accidente è figlio. BRUTO Non v'ha chi piii di me porli il doloi'c... Porzia morì! — ^ASSIO Porzia! che sento?.. BRUTO E morta. CASSIO Come causai di non restar qui spento Poi che tanto t* offesi? — Oh lamentosa Incomport^bil perdita!.. Ma, dimmi, Qual morbo la rapì? . BRUTO L* impazienza Per me lontano, ed il dolor che a tanta Altezza di poter salisse Antonio Ed Ottavio con lui; codesta nuova Con quella di sua morte a me venia. Uscì di senho; e, discoslàti i «ervi, Ella trangugiò foco. CASSIO E COSÌ dunque Morì ? o< 13S )o BRUTO Così morì. CASSIO Numi immortali ! Entra LUCIO, recando vino e faci. BRUTO Non più di lei. — (a Lucio) Dammi la coppa. E in essa Abbia sepolcro ogni scortese accento , O Cassio! (.beve) CASSIO^ Ila sete di sì nobil patto Il mio cor: mesci finché il vin trabocchi, O Lucio, mesci: che all'amor di Bruto Ber di soverchio non potrei. {beue) \* Ritorna TITINIO con MESSALA. BRUTO T'avanza, Titinio: benvenuto, o buon Messala. Or, qui raccolti, intorno a questa face Seggiamo a ragionar di quanto preme. CASSIO O Porzia , più non sei ! BRUTO Cessa, ti prego. - o< lS4>o Qui ini giunse per lettere, o Messala, Che Ottavio e Marc' Antonio a noi son presso Con poderose forze, invér Filippi Dirizzando l'impresa. MESSALA E ricevei Lettere anch' io di tal tenore. BRUTO E v' hanno Aggiunte? MESSALA. Che proscritti e messi a morte Da Ottavio, Antonio e Lepido fùv cento Senatori. BRUTO La nuova un po' si scosta Dalle lettere nostre; di settanta Senatori da lor proscritti e spenti Parlan le mie. L' un d' essi è Cicerone. CASSIO Cicerone? MESSALA Sì: morto è Cicerone Fra que' proscritti. — (a Bruto) Tali nuove avesti Dalla tua donna? BRUTO No, Messala. MESSALA £ nulla «9<185>o Di lèi, nelle tue lettere, t'è scritto? QfiUTO Nulla, o Messala. MESSALA Strana cosa parmi. BRUTO À che me'l chiedi?.. Nelle tue, novella Ne avresti? MESSALA No, signor. BRUTO Tu, da romano Qual sei, parlami il vero. MESSALA E da romano, Tu soffri il vero eh' io ti dico. — È certo Ch'ella morì, di crudel morte. BRUTO Addio Dunque, o mia Porzia ! — Noi dobbiam, Messala, Morir. Sol meditando che dovea Morire anch'essa uu di, forza trovai Oggi di sopportai*. MESSALA Bruto, all'uom grande Grandi sciagure sopportar bisogna. CASSIO ' Io seguo, ^1 par di te, codesta norma: Pur la mia tempi*a, no, non regge a tanto. V o< 136 )o BRUTO Non più. Veniamo all' opra viva. — Quale Parvi il consiglio di condur le schiere Senza indugio a Filippi? CASSIO A me non sembra Consiglio buono. BRUTO La ragione? CASSIO E questa : Giova pi& che di noi cerchi il nemico; Perchè così le scorte egli consuma E le milizie stanca, e a se fa danno: In tanto noi, senza mutar di loco, Riposati saremo, integri, e pronti A tutto. BRUTO EU'è necccssità che buona Ragion dia campo alla ragion migliore. I popoli che stanza han tra Filippi E questo piano^, per forzato affetto Stanno a freno, e gì' imposti contributi Malvolenti prestar. Passando in mezzo A tal gente, il nemico le sue schiere Ingrosserà; di forze rintegrato, Con freschi ajuti e con novello ardore, Avanzar lo vedrem. Tali avvantaggi Da noi troncar si ponno, ove a Filippi Gli teniàm fronte^ lasciando . alle spalle ^ 137^ Godeste genti. CASSIO Fra tei' mio, m'ascolta. BRUTO Concedi. A questo ancor vuoisi por mente: Gli amici nostri noverati in6no Air ultimo ne son; le legioni Del numero fornite, ed è matura La causa nostra. Del nemico intanto Cresce ogni di la possa; e, giunti al sommo. Noi siam vicini a declinar. Che pari Alla marea, le umane cose vanno. Gol flutto che s'innalza, alla fortuna; Ma, senza quello, in arenoso fondo Per cammiiì di miserie avverso corre Di lor vita il viaggio. Or noi sull' onda Siam di. quest'alto mare; e la corrente Gonvien seguir fìnch' è propìzia, o tutte Perder le sorli. CASSIO Se cosi tu vuoi, Segui la via; noi dietro a te verremo. Per incontrarli insiem presso Filippi. BRUTO L'oscura notte sopravvenne al nostro Colloquio, ed obbedir debbe' natura Alla necessità: ma noi vogliamo Ghe di breve riposo ella s'appaghi. — Nuir altro è a dir? o< 188 >o CASSIO Nuir altro. Or buona notte. Domani, alla prim'alba, in pie saremo, Ed iu cammino. BRVTQ Lucio, la mia veste. — Addio, dolce Messala; buon riposo, O Titinioj e tu pur lieto riposa, O nobil, nobil Cassio! CASSIO O fra tei mio! Di questa notle fu tristo il principio: Deh non ritorni mai fra l'alme nostre Cotal discordia ! Non volerlo, o Bruto. BRUTO Tutto è per ben. CASSIO Signor, la buona notte. BRUTO Buona notte, fratello. TITINIO e MESSALA Buon riposo A Bruto, signor nostro. BRUTO • A tutti, addio. (, partono Cassio j Tiiinio e Messala') o< 139 )o Ritorna LUCIO recando la veste di Bmto. BRUTO Dammi la veste. — E dove il tuo strumento Lasciasti ? LUCIO E nella tenda. BftUTO Sonnacchioso Rispondi, poveretto! io non t'incolpo; T'han le veglie sfinito. A chiamar vanne Claudio, o de'miei qualch'altro:in sui guanciali, Qui dormiranno nella tenda mia. LUCIO Varrone! Claudioi — Entrano VARRONE e CLAUDIO. VARROME Mio signor, chiamasti? * BRUTO Si: ve ne prego, qui posate, amici, E dormite: esser può ch'io vi risvegli Fra poco, per mandarvi al fra tei mio Cassio. VARRONE Concedi che noi qui restiamo In piede e pronti ad obbedirti. BRUTO A questo o< 140 >o Non consento: posate, o buoni amici: Può darsi ancor che di pensiero io muti. — Lucio! ecco il libro che tanto cercai; Entro la tasca della veste il posi. ( I Serici si pongono a giacere) LUCIO Ero certo, signor, che a me no'l desti. BRUTO Perdona, buon garzon: facif son io Ad obblì'ar. Ma di', tenere aperti I gravi occhi, e cantarmi una o due strofe Sullo strumento or puoi? LUCIO Sì, mio signore, Se tu lo brami. BRUTO Or ben, lo bramo: è vero Ch'io t'affatico; ma di cor tu'l fai. LUCIO Signore, è dover mio. BRUTO Chieder non deggio Più di quel che tu possa; e so che vuole Un giovin sangue il suo riposo. LUCIO O mio Signore, io già dormii. BRUTO Sta bene: ancora Dormir potrai; di qui tenerti a lungo «=H 141 >o Non ho pensier. Ti gioverò sé vivo. — Suono e canto — BRUTO Suon che addormenta. - Lo scettro di piombo Sul inio garzon che canta, or dunque aggravi, Sonno omicida?.. Dormi, o giovinetto! Si crudele io non son, da risvegliarti; Ma se il capo ti cade, il tuo strumento Spezzar potresti: eh* io da te lo tolga; E dormi pur...^ tranquillo dormi. -^ Ed ora. Vediamo: il foglio io ripiegava, quando Gessai dalla lettura. È qui, cred'io. isiede) appare lo SPETTRO rf/ Cesare. BRUTO Arde fioca la face!.. Oh! chi ne viene? Son forse gli occhi miei che affaticati Mi creano questa vision tremenda. — Sopra ei mi sta. Se' tu palpabìl cosa? Nume o spirito o demone, che il sangue Mi fai di gelo e mi sollevi il crine?.. Chi sei? rispondi. LO SPETTRO Il tuo genio nemico. . BRUTO A che vieni? • ; LO SPETTRO A, nunciarti che a Filippi Me rivedrai. ^ : CK l« )o BRUTO Tal sia. Di nuovo dunque Ti vedrò? LO SPETTRO Sì, a Filippi! (/o Spettro dispare) BRUTO E là t'aspetto. — Or eh' io ripiglio core, ecco è svanito. • ' - Spirto malvagio ! favellarti ancora Avrei bramato. — Olà! Lucio, garzone! Varron, Claudio!.. Sorgete, amici... Claudio! tUGIO False, o signor, sono le corde. 4 BRUTO Ei crede Tener tuttora lo strumento. — Sorgi! Lucro Signor. BRUTO Lucio, sognavi, che si alto Grido mettesti? LUCIO Io no; d'aver gridato . Non so. BRUTO Pur, tu gridasti; e non* ti parve Cosa alcuna veder? LUCIO No, signor mio. MHBb.ak>abkji^MnadiB «K 148 )o BRUTO Torna, o Lucio, a dormir. - Claudio! ti desta: Tu pure, amico. VARRONE Signore ! CLAUDIO Signore ! bruto' Perchè sì alto voi gridaste in sogno, Amici miei? VA^IRONE e CtADDIO Gridammo ? BRUTO Sì: vedeste Alcuna cosa forse? VARRONE Io. nulla vidi. CLAUDIO Anch'io, signor. BRUTO Va dunque, e m'accomanda Al mio fratello Cassio. Le sue schiere Fa ch'ei ponga in cammin, tosto che aggiorni: Noi seguiremo. VARRONE e CLAUDIO T'obbediam, signore. ( partono ) FINE DELL^ATTO QUARTO. o< 145 >o ATTO QUINTO TOM. II. Giul. Ces. <0 «>< 117 )<=>' SCENA !• La pianura di Filippi. Entrano OTTAVIO e ANTONIO col loro esèrcito. OTTAVIO V edi adempite le speranze nostre, Antonio: tu dicesti che nel piano L'oste calar non intendea^ ma fermo I colli e l'alta region terrebbe. Così non fu: stan Y armi loro in vista , E qui, a Filippi, di sfidarci faan mente. Tal facendo risposta anzi all'invito. ANTONIO Ne'lor petti io discendo, e veggo aperto Perchè il fanno: d* andarne in altre parli Sariano lieti; e scendono dall'alto A bravar paurosi, imaginando o< 148 )o Di fissarci in pensiero in questa guisa Gh' essi han grande coraggio. E non è vero. Entra un MESSAGGERO. IL MESSAGGERO V'apparecchiate, o duci: in bella mostra L'inimico s'avanza, dispiegando La sanguinosa insegna della guerra. Dispor conviene suU' istante. ANTONIO Ottavio, Tu guida lentamente i tuoi guerrieri Sul lato manco di codesto piano. OTTAVIO Al destro io tengo, a te l'opposto lato. ANTONIO E perchè m'attraversi in tal frangente? OTTAVIO Non ti attraverso; ma così far voglio. — Marcia guerriera; suono di tamburì — Entrano BRUTO e CASSIO colle loro milizie; LUCILIO, TITINIO, MESSALA ed altri. BRUTO Fan alto, e cbieggon parlamento. CASSIO Ferma, I I «o CASSIO Soffia, o vento! onda, muggì! e solca, o nave! Ecco, vien la tempesta^ in man del caso È tutto. — BRUTO Odi, Lucilio, una parola. LUCILIO O mio signor. (^BriUo e Lucilio paviano sommesso fra loro) Cassio Messala ! MESSALA Che m'impone Il mio duce? CASSIO Messala ! È questo il giorno Del nascer mio; fu in questo di che vide Cassio la luce. La tua mano or dammi, O Messala, io ti chiamo a testimone Che mal mio grado a confidar fui stretto Delle romane libertà la sorte Ad un conflitto. Fermo io tenni, il sai. Ad- Epicuro ed alla sua dottrina; Or la mia mente cangia; e credo in parte A cose del futuro annunziatrici. Neir avanzar da Sardi, in sulla prima Nostra insegna due grandi aquile il volo Avean raccolto; dalla man de' nostri Soldati si pasceano, e ne seguirò o< 153 )o Sino a Filippi; ed oggi, in sul mattino, Aprir r ale e dispaf vero : sui nostri Capi, in lor vece, di corvi uno stormo E d'avvolto) giù cala, a noi dall'alto Guatando come a moribonda preda; E l'ombra delle negre ale parca Un fatai padiglion che ricoprisse Le nostre schiere, a render già vicine L'ultimo fiato. MESSALA Non dar fede a questo. CASSIO Solo in parte vi credo; poi che pronto Di spirti io sono, risoluto e fermo Ad incontrar qual sia cimento. BRUTO Olaccamlosi da Lucilio') E tutto Così, Lucilio. CASSIO ^ Illustre Bruto, i Numi Oggi ne sono amici: oh possiam noi. Sempre in pace, veder la tarda etade! Ma, come incerte van le .cose umane, Parliam del peggio che accader potria. Se perdiam la battaglia, ell'è ben questa L' ultima volta che parliamo insieme. Che risoluto hai tu? BRUTO Starmi con -quella Filosofia, che già biasmar mi fece e< 164 >o Catone, allor che a sé stesso die morte. Credo, né so perché , codarda cosa II termine affrettar di nostra vita Per tema degli eventi; armarmi il petto Di pazienza io vo': finché provvegga Qualche sommo poter che ne governa Nel mondo, aspetterò. C4SSI0 Se vinti siamo, Acconsentir vuoi tu d' esser * condotto Dietro al trionfo per le vie di Roma? BRUTO No, Cassio, no. Deh! non pensar giammai, Nobil roman, che Bruto incatenato Entri in Roma: ei nel petto anima chiude Troppo grande* Compir si dee quest' oggi L'opra che incominciar gl'Idi di Marzo: Se incontrarci potremo un'altra volta Non so: l'eterno addio dunque sia questo. Sì, per sempre, per sempre, o Cassio, addio! Se ci veggiamo anqor, con un sorriso Rivedremci; se no, non $arà vano Quest'ultimo congedo. CASSIO Addio per sempre,; Addìo per sempre, o Bruto. Inver, $e ancora Ne riveggiam, sarà con uu sorriso; Se no, codesto addio npn sarà vano. BnUTO Orsù dunque^ in cammin. S'uomo potesse o< 155 >o Il fin di ciò che in questo di s'appresta Antisaper! Ma il di vedrà suo fine, E tutto allor ci sarà noto. — Andiamo. (.partono^ SCENA ÌU La pianura dì Filippi. Campo di battaglia. — Gridi di guefra — Entrano BRUTO e MESSALA. BRUTO A cavallo, a cavallo! orsù, Messala, E queste note reca all' ala opposta; — Grido: aliarmi — Tutte avanzin le schiere in una volta; Poiché l'ala d'Ottavio, a quel ch'io veggo. Move fiacca, ed un urto subitàno Può sbaragliarla. Orsù, ratto, a cavallo, Messala^ e piómbin tutte al tempo stesso. «< 156 Jo SCENA IIL La pianura di Filippi. Un altra parie del Campo. — Grido: aitarmi — Entrano CASSIO e TITINIO. CASSIO * Vedi, o Titinio, vedi! i vili fuggono. Nemico a' miei divenni io stesso. E questa Insegna mia vidi rivolta in fuga; Ma trafissi il codardo; e di sua mano La strappai. TITINIO Cassio, troppo presto il cenno Die Bx*uto: allorch'ei vide Ottavio alquanto Piegar, si spinse con ardor soverchio; I suoi soldati diérsi a far bottino. Ed ecco Antonio n' accerchiava tutti. Entra PINDARO. PINDARO Fuggi dì qui, signor, fuggi lontano. Nelle tue tende è Marc' Antonio: fuggi. «>< 15: )9 Fuggi di qui loutano, o nobii Cassio! CASSIO Lunge abbastanza è questo colle. Guarda, Guarda^ Titìnio! sou le teude mie Là, dov'io miro quella vampa? PINDARO Il sono. CASSIO Deh! Titinio, se m'ami, il mio cavallo Monta, gli sproni in lui configgi, e vola Finché le schiere che di là tu vedi Abbi raggiunte; poi qui torna. — > Oh! eh' io Sappia se amici ovver nemici ei sono. TITINIO s Ratto, come il pensier, vado e ritorno. (parte) CASSIO Pindaro, in vetta di quel colle ascendi: Debil d'occhi fui sempre; or tu riguarda Titinio, e quello che nel campo avviene Dimmi. (, Pindaro parie) CASSIO Egli è questo il di, che respirai La prima Volta. Il tempo or compie il giro, E donde cominciai, colà finisco; Tutto il suo cerchio la mia vita ha corso. — ia Pindaro) O tu, che vedi? o< 158 ^ PINDARO idall^ altura} Mio signor! CASSIO ^ Che vedi? PINDARO Dai cavalier' che rompono contr' esso À sciolta briglia, già Titinio è chiuso. Pur, corre anch' egli senza fren; già sopra Gli stanno. — Ed or Titinio... Alcun di loro Balza di sella. - Oh ! balza ei pur. - L'han colto! Odi, grida di gioja. (grida di dentro) CASSIO Oh! scendi, ed oltre Non riguardar. Vile son io che tanto Vissi sol per mirarmi, innanzi agli occhi, L'amico mio miglior fatto captivo. Ritoma PINDARO. CASSIO Qui vieni or tu ! — Prigione un dì fra i Parti 10 t'ebbi; e allor, serbandoti la vita. Giurar ti feci d'adempir qualunque Cosa imposta io t'avessi. Oh vieni, e compi 11 giuramento. Libero tu sei! Or con questo buon ferro che di Cesare Il fianco trapassò, cerca il mio petto. •■ — Non indugiar per la risposta. Pi^endi, o< 159 )o Eccoti l'elsa; e poi ch'avrò coverto. Come vedi, il mio volto, appunta il ferro. — Sei vendicato, o Cesare! e lo sei Col ferro is tesso che t'uccise. — (muore trafitto da Pindaro) PIMDAAO Or dunque Libero son: ma tale il voler mio, S'io l'osava seguir, ceHo, non era. O Cassio, fuggirà così lontano Da questa riva Pindaro, ove mai Non porrà mente ad esso alcun romano. i parte) Ritorna TITiNIO con MESSALA. MESSALA Titinio, alterne son le sorli: Ottavio E quinci rótto dal valor di Bruto; Quindi, di Cassio le legioni ha vinte Antonio. TITINIO E confortato a queste nuove Cassio n'andrà? MESSALA Dove il lasciasti? TlTINlO Fuori D'ogni speranza, qui, su questo colle, eo Coa Pindaro suo s»ervo. MESSALA Oh! non è de^o Che là prosteso giace? TITINIO E là non giace Come vivo. — Oh! mio cor! MESSALA Non è ben desso? TITINIO Ei fu ben desso, ed or non è più Cassio, O Messala. — Simile a te, che in mezzo A' tuoi purpurei raggi, o sol cadente. Svieni in braccio alla notte, ecco tramonta Di Cassio il di nel suo vermiglio sangue: Tramonta il sol di Roma! Or si, caduto E il nostro di; vengono e liubi e geli E perigli; fini la nostra vece! — Sfidanza al mio successo a ciò Tha tratto. MESSALA Sfidanza al buon successo anzi l'ha tratto. — Fatale error, della tristezza figlio! Perchè mostri all'ardente uman pensiero Ciò che non è? Fatale error, concetto In un istante, mai tu non arrivi A fausto nascimento; ma la madre Che ti produsse, uccidi. TITINIO Dove sei. o< 161 S» Pindaro, dove sei? MESSALA. Sulla sua traccia Va, Tilinio; che incontro al nobil Bruto 10 movo intanto, il fulmine a recargli Di questa nuova: e fulmine dir posso; Che ferree punte e avvelenati strali Sarian più cari agli orecchi di Bruto Che l'annunzio crudel di questa scena. TITINIO O Messala, ^t'affretta; intanto io stesso Pindaro cercherò. (, Messala parte) Dal fianco tuo Perchè mi rinviasti, o prode Cassio? Gli amici tuoi non ho raggiunti? ed essi Questa corona di vittoria in fronte. Perchè l'offrissi a te, posta non m'hanno? E non giunsero a te l'alte lor grida?.. Oimè! che mal vedesti in ogni cosa. Pure aspetta, e la fronte a tp circondi Codesto serto. Ch'io te lo recassi • "^ 11 tuo Bruto mMmpose, ed ecco adempio .i ' .Il voler suo. — Vieni, t'affretta, o Bruto, • Vedi qual resi a Cajo Cassio onore! O Numi! deh lo concedete; è tale D'un romano il dover. Spada di Caissio! Vieni e ritrova di Titinio il core. C« uccide) ▼OL. II. Giul Cès, 11 *KI«>« — Grido: aitarmi — Ritornano MESSALA con BRUTO, CATONE IL GIOVINE, STRATONE, VOLUMNIO e LICINIO. BRUTO Dove, oh! dove, Messala^ è la sua spoglia? MESSALA Eccola, è là. — Titinio il piange. BRUTO Al cielo Vòlta è la faccia di Titinio. CATONE Ucciso! BRUTO Giulio Cesare! ancor tu sei possente, Passa il tuo spirto sulla terra, e torce Ne' nostri petti i ferri nostri. {sordo strepito d'armO CATONE Prode Titinio! Oh, non vedete? egli ricinse Al nostro Cassio la corona. BRUTO A questi Simili ha due romani il mondo ancora? Yale, o r ultimo tu d' ogni romano ! Vale! Che Roma generar mal possa Chi te pareggi non sarà. -— Degg'io •o Ben maggior pianto, o amici, a tale eetinto Di quel che tributargli or mi Tedrete. Ma l'ora, o Cassio, troverò; si Torà Troverò! — Deh! venite, e la sua salma Recate a Thasso. Non dee farsi in campo La pompa funeral, poiché potrebbe Disanimarci. Yien, Lucilio; vieni, Giovin Catone; alla battaglia omai Si tomi. — Flavio, Labeon, le nostre Armi guidate innanzi. — £ l'ora terza; £ pria di notte, in un secondo scontro, Noi la fortuna tenterem, Romani! Cpariono) SCENA IV. Un altra parte del campo. — Strepito di battaglia — Entrano combattendo SOLDATI de* due esèrciti; poi BRUTO, CATONE, LUCILIO ed altri. BRUTO Fermi, oh! fermi tenete ed animosi, Cittadini! «>o Troppo iHustre capttvo» SECONDO SOLDATO Oh date luogo: L'annunziate ad Antonio: è preso Bruto! PRIMO SOLDATO Con tal nuova a lui corro. — Il duce viene. Entra ANTONIO. PRIMO SOLDATO Signor, Bruto è prigion, Bruto è prigione. ASTONIO E dov'è?.. LUCILIO Salvo, o Antonio! è salvo Bruto! — Io r oso mallevar, che mai nemico Non avrà vivo il nobil Bruto. Lui Scampino i Numi da si gran vergogna! AUor che morto o vivo il troverai, Pari a Bruto ei sarà, pari a sé stesso. autonio Costui Bruto non è. — Par non men degna Preda, amici, teniamo. Ora in sicuro Conducetelo e s'abbia ogni rispetto. Bramo amici piuttosto i pari'sruoi Che nemici. A cercar di Bruto andate ^^ Ovunque sia, vivo od estinto: e a noi Nella tenda d'Ottavio annunzierete Qualunque cosa avvenga. «^ !••>«» SCENA Y. Uri al$ra parte dei campo. Entrano BRUTO, DARDANIO, CLITO, STRATONE e VOLUMNIO. BAOTO O degli amici Miseri avanzi, qui vemte; e posa Gerchiam su questa roccia. OLITO Di Lucilio L'accesa face noi vedemmo; pure, Ei non torna: o fu preso, o fu trafitto. BR1IT0 Siedi, o Clito, trafiUo è la parola: È Tatto che si vuol! — M'ascolta, Clito. igU parla sommesso"^ OLITO Come? io signor?.. No, no, per tutto il mondo. BRUTO Or ben, .taci! Né un motto. CLITÒ Anzi vorrei » Svenar aie stesso* BRUTO Odimi tu, Dardanio. i$U paria somfMtio) •» DABDAMIO Io far questo? CLITO Dardanio! DARDANTO Oh Clito!.. CtlTO E quale, Qual mai Bruto ti fé domanda rea? DARDANIO Ch'io l'uccìdessi. — Ei medita, Io vedi. CLITO Ora è qual vaso colmo di dolori, Che trabocca persia dagli occhi suoi. BRUTO O buon Yolumnio, vieni! Odi un istante. VOLUMNIO Che dice ri signor mio? BRUTO Volumnio, ascolta. Di Cesare lo spettro a me, di notte. Già due volte apparia: la prima volta A Sardi; e l'altra, qui, la notte scorsa, Di Filippi ne' campi. — Il so, la mia Ora è venuta. VOLUMNIO Ah no! no, signor mio, BRUTO ^ £ venuta, Volumiìio! e ne son certo. «=P Lo conoscete? MESSALA E del mio duce un servo. — Dov^è, Stratone, il tuo signor? STRATONE Messala, Dalla catena che tu porti , è sciolto! I vincitori altro di lui non ponno Far che un pugno di cenere. Sé stesso Bruto, e solo, vincea; né di sua morte S'onora altri che lui. LUCILIO Tal si dovea Bruto trovar. Grazie ti rendo, o Bruto: Che il ver parlò Lucilio or ben provasti. — - OTTAVIO Quanti a Bruto servir, de' miei saranno. — (a Stratone) Amico, oprar vuoi tu per me la vita? STRATONE Sì, dove m'accomandi a te Messala. OTTAVIO Messala, far lo dèi. MESSALA Come, Stratone, II mio duce mori? STRATONE La spada io tenni. Ed ei sopra vi cadde. «H ni J« MESSALA Ottavio, prendi Fra' tuoi seguaci l' uom che al duce mio Rese il servigio estremo. ANTONIO Egli il più grande Fu di tutti i romani! E ciò che spinse Tutti, fuor di lui solo, i congiurati À far ciò ch'essi han fatto, era gelosa Del gran Cesare invidia. Ei sol, per giusto Pensier verace e per lo ben di tutti, Si fé del numer uno. Onesta vita Ebbe e fusi di vita gli elementi In lui cosi, che ben potea Natura Levarsi, e dire al mondo: Un uom questuerà. OTTAVIO Abbia la reverenza onde già tanto Le sue virtù fur degne, e oiior di tomba A lui sia reso. — In questa notte pósi Nella mia tenda la sua spoglia, cinta Di quanti omaggi merta un gran guerriero; Si raccolga l'esercito, e le glorie D'un dì si bello a festeggiar moviamo. ( partono ) FINE DELLA TRAGEDIA. «< i:^>« NOTE ^l^mméammi^^Jt^i §■*■*■ a*. »i» ■ ìm >■ i i » ■ I ■■ ' ' ■»-*» «HMIJo ATTO PRIMO SCENA L Pag. 8 SECONDO CITTADINO Di racconciar la pelle vecchia. Il testo: A mender of bad soles. — Ricucitor di suole \^ecchie. Bisticcio fra sole^ suola^ e soul, anima. Su que- sto doppio senso, che forse appare anche dair espressione da I me adoperata, continua il dialogo del tribuno col ciabat- tino; il quale di poi soggiunge : Sii*, be not OUt with me; dove, to be out significa cosi essere in collera^ come essere malandato. Pag. 9 SBCOSDO CITTADINO di vecchie Ciabatte son cerasico; .... Qui pure ha il testo uno scherzo sul doppio suono delle parole with awl, colla ksinaj e with ali con tutti. II senso equivoco continua poi colle parole: I recOVer them che tradussi: Io le rimetto in sesto. «*o SCENA IL Pag, 19 CASSIO O Roma, un di si grande ed or sì angusta, O stanza in cui non siede altri che un uomo!.. Nel testo v^ ha il doppio suono della stessa parola Rome, e room stanza. SCENA III. Pag, 3a CASSIO Alle folgori offersi il petto ignudo; Il testo : Have bared my bosom to the thunder-stone : Snudai il petto alla pietra JUlminea: il pregiudì- zio popolare credeva essere laociate delle pietre dallo scop- pio delle folgori: il poeta adopera la stessa espressione nel Cisabelino. ATTO SEG0?(D0 • SCENA I. Pag, 4> BRUTO Abuso è di grandezza, ov'è disgiunto o< 177 >o Il poter dal rimorso Alca ni intendono la parola remorse del testo nel sento dì tenerezza o di pietà: panni più vero e più forte Tin* tenderla nel suo significato più naturale. Pia soUo BRUTO ' ia cotal guisa La ragion se n'informi: Il testo: Fashion it thus: lo consideriamo cosi$ cioè, se ben veggo: Cercluamp in tal modo la ragione di quel che VOgliam fare, £ cosi Bruto, che fino a quel tempo aveva amato Cesare, va pensando a ciò ch^esso potrebbe diventare, cipta che avesse la corona di re. Pag, Ifi BRUTO Ove il concetto Degli uomini non valga, L^ espressione delP originale : The face of men è di- versamente intesa dagli annotatori; a me pare che, in luogo del senso materiale di aspetto, debba spiegarsi colPidea mo- rale dqir opinione e delP onore. Pag, 52 DECIO . . . . Udir gli è grato come Sien traditori al liocorno i tronchi. Al liocorno, come buonamente credevasi a^ vecchi tempi, 5Ì dava la caccia in tal guisa : postosi il cacciatore innanzi ad uh albero, si rifuggiva diètro a quello nelPatto che ve* deva venirsi incontro T animale, che cosi restava infitto col- TOM. 11. GiuL Ccs, 12 o ( ALCUNI FRAMMENTI DI PLUTARCO (Traduzione di Lodovico Domenichi; Venezia^ Giolito^ i566) I. DALLA VITA DI CESARE. a Sopratutta il desiderio di regnare gli levò contro (a Cesare) odio e invidia capitale. La qual cosa ad assaissimi fu la prima cagione: ed a coloro che avèano seco inimicizia antica, diede onoratissima occasione. Quei medesimi ancora, che procuravano questa dignità a Cesare, ave- vano cavata fuora una voce, che Y oracolo della Sibilla diceva, come i Parti non potevano per alcun modo esser soggiogati da'Komani, se il Re loro non faceva impresa contro di quelli. Venendo poi Cesare da Alba a Roma, ebbero ardimento di salutarìo Re. Allora Cesare do- lendosi, ohe la plebe se ne fosse turbata, disse; ch'egli non si chiamava Re, ma Cesare. E stando cheto ognuno, egli se ne passò oltre non mollo lieto, ne contento. Avendogli i Consoli ed i Pretori ordinato alcuni onori assai maggiori ch'alia grandezza umana non conviene, sedendo o< 182 X» egli per avventura ne' Ròstri, furono a trovarlo insieme con tutti i Senatori. Ài quali, senza levarsi altrimenti Cesare per fargli onore, ri- spose in modo che pareva un principe, il qual rispondesse a uomini di bassissima condizione; e disse loro: che gli onori piuttosto s'aveano* da scemare, che da crescere. Diede questa cosa gran dolore non pure a' Senatori, 'ma ^ancora alla plebe, quasi che la città avesse ricevuto quel carico nella persona de' Senatori. E per ciò tutti coloro, ch'ebbero commodità di par- tirsi, sùbito si partirono con gravissimo dolore. Com'egli ciò conobbe, di presente se n'andò a casa, e levatosi la veste dal collo gridò a' suoi famigliari dicendo ch'egli aveva apparecchiata la gola per ognuno, che lo voleva scannare. La cagion di questa cosa dicesi, che la diede al mal suo. Il qual male, coloro che Io patiscqno, quando si levano per parlamentare al popolo, il sentiménto loro non può star punto in ri« poso, ma sùbito tutto conquassato e battuto è sovrapreso dalla vertigine , e sta , che non si può muovere. Ma la cosa non istava di questa maniera. Perciocché, volendo egli levarsi, e fare molto onore al Senato, dicesi che un certo degli amici, anzi adulatori suoi, che si chia- mava Cornelio Balbo, Io ritenne: avvertendolo, che si ricordasse d'esser Cesare, e però si la- sciasse onorare, come persona da più di loro. Tra questi impedimenti era venuta la festa •o ciocché dicono che apparvero certi maravi- gltosi segni e prodigi. Parrà cosa debole rac- contare, come per molti luoghi furono veduti scorrere lampi del cielo, e strepiti di notte, ed in tanta calamità uccelli solitarj cadéttero in piazza. Ma Strabone filosofo scrive ch'allora apparvero assaissimi uomini di fuoco, i quali andavano per l'aria. E che ci fu un ragazzo di un cei*to soldato, nella cui mano s' accese una grandissima fiamma, talché coloro che il videro, si credettero ch'egli ardesse;. la quale come fu spenta, si trovò, ch'egli non aveva mal ninno. E. quando Cesare sacrificava, egli non trovò mai il cuoi*e della vittima: la qual cosa era veramente crudel prodigio. Percioc- ché naturalmente non si trova ninno animale senza cuore. Oltre di questo si trova scritto da molti, che gli era stato predetto da un in- dovino, ch'egli si dovesse guardare da un gran pericolo a dì quindici di marzo. Perché, an- dando quel di Cesare in Senato, salutò l'indo- vino, e per burlarlo gli disse: e' son venuti i quindici di marzo, ed egli gli rispose piano: e' son venuti, ma non ancora passati. Il giorno innanzi essendo a cena con M. Lepido, men- tre ch'egli era a tavola, sottoscrivendo, come era usato, alcune lettere, si venne a ragionare qual fosse la miglior morte; dov'egli, preve- nendogli tutti rispose ad alta voce: la sùbita e non aspettata. Essendo egli poi in letto a •o lato ^lla moglie, e dormendo , la porta della camera e tutte le finestre s^ apersero ad un tratto; perchè egli tutto turbato per lo stre- pito e per lo splendore, ch'era lume di luna, sentì che Calpurnia, la quale dormiva sodo, così dormendo metteva alcune voci confuse e sospiri inarticolati. Ed ella disse: come le pa- reva di piangere Cesare ed* averlo morto nelle braccia. Alcuni dicono, che la moglie. di lui. non fece altrimenti questo sogno; ma, come racconta Livio, attaccato con la casa di Ce- sare era un certo tempietto a guisa d' un bel- lissimo ed onorato sepolcro, fatto per ordine del Senato, per cagione di maestà e d'onore. Perchè Calpurnia sognando di vederlo minato le pareva che ne facesse grandissimo lamento. Come fu giorno dunque, ella pregò stretta- mente Cesare, che se pure egli era forzato u- seire fuori di casa, prolungasse almeno il Se- nato per l'altro giorno. E se pure egli si fa- ceva beffe de' suoi sogni, con altre divinazioni e sacrifici facesse d' intendere quel eh' aveva a esser di lui. Era già entrata in Cesare una certa paura e sospetto , perciocché per V ad- dietro non aveva conosciuto, che a Calpurnia si potesse apporre alcuna superstizione secondo il costume delle donne ; e pur quel giorno la vedeva tanto travagliata ed afflitta da quell'u- more. Ora, poiché gl'indovini avendo fatti di molti sacrifici gli ebbero riferito, come gli e- o< lU>o rano tutti riusciti inale; deliberò in ogni modo di mandare Antonio a- licenziare iV Senato. In questo mezzo Decio Bruto, chiamato per sopran- nome Albino, in cui Cesare aveva- gran fede, tanto che nel suo testamento se l'aveva fatto secondo erede, venne a lui. Costui essendo compagno di quell'altro Bruto e di Cassio iu quella congiura, dubitando se Cesare lasciava passare quel giorno, che la cosa non venisse a scoprirsi, incominciò a biasimar gl'indovini, e a riprendere alquanto Cesare ancora, perchè egli di^va occasione a' Senatori di dir mal di lui, i quali si tenevano uccellati da lui. Per- ciocch' essi erano venuti di sua commissione, ed erano già apparecchiati tutti i voti, per farlo Re di tutte l'altre provincie, fuor che d'Italia: e eh' egli potesse portare la corona reale per terra, e per mare, se non quando egli era in Italia: dove, s'essendo eglino posti a sedere^ egli avesse detto loro che per allora «se n'andas- sero, per ritornare un'altra volta, quando Gal- purnia avesse fatto miglior sogno, che avreb- bono detto gl'invidiosi? e chi sarebbe stato quegli, che avesse comportato gli amici suoi, i quali non avrebbono saputo mostrare che ciò fosse fatto per servitù, né per tirannia? e se pure egli aveva a noja quel giorno come sospetto, «era assai meglio (di$s'egli) ch'egli stesso fosse ito in Senato, e fatto motto a' Se- natori, avesse differito a far Senato un altro o< f89 )o giorno. Così dicendo Bruto, e in un medesimo tempo pigliando Cesare per mano, lo menò fuor di casa. Ed erano poco lontano dalla porta, quando se gli fé incontro un servo non suo, ma d'al- tri, il quale faceva grande instanza di volergli favellare: ma perchè, soprafacendolo la fre- quenza del popolo, egli era ributtato, entrò in casa, e sì presentò a Calpurnia, dicendole; ch'essa lo tenesse ben guardato, fin che Cesai^ tornava; sì come quel, ch'era per rivelargli cose di grande importanza. Eravi oltra di ciò uno Àrtemidoro di nazione Gnidio, maestro di eloquenza greca. Il quale avendo per ciò presa pratica con alcuni famigliari di Bruto, aveva intesa grandissima parte di quel che s'aveva a fare. Presentossi costui a Cesare con un certo ' memoriale in mano per dargliene avviso. Ma veggendo Cesare, il quale dava a serbare a' suoi ministri tutti i memoriali ch'egli aveva presi, accostandosegli molto, disse: piglia, o Cesare, quésto, e sùbito leggilo da te solo; perciocché vi sono scritte cose grandi, e che molto t'im- portano. Perché Cesare, avendolo preso, e spesse volte sforzandosi di volerlo leggere, ne fu sem- pre impedito dalla molitudine delle persone, che gli volevano favellare. Ma nondimeno, te- nendo questo memoriale solo fra tutti gli al- tri in mano, entrò in Senato. Alcuni altri di- cono che questo memoriale gli fu dato dà un o^ W0>o altro, e che Artemidoro essendo stato riso- spinto per tutta la via, non si gli potè accostare giammai per favellargli. Ma veramente il caso è quel, che apporta simili cose. Ora in quel luogo, dove si raunò il Senato, e fu fatto To- micidio, era allora a giacere una statua di Pom- peo: la quale essendo già dedicata in, quella Curia dal medesimo Pompeo, e per cagion d'or- namento aggiunta al Teatro , diede cagione alle persone di dire che ciò in ogni modo era stata opera di qualche Dio, il quale condusse e ra- dunò quivi le persone a fare tal cosa. Cassio adunque, innanzi ch'egli si mettesse all'im- presa, guardando alla statua di Pompeo, di- cesi che tacitamente lo invocò , e ràccomandossi a lui; ancorch' egli fosse poco lontano dall'o- pinione d'Epicuro. Ora essendosi già per ve- nire asfalti, il tempo gli aveva sbigottiti, e la debolezza dell'animo gli aveva fatti mutare di opinione. Decio Bruto riteneva di fuori Antonio, uomo fedelissimo a Cesare, e molto gagliardo e forte della persona, avendo in prova attac- cato seco un lungo ragionamento. Entrando poi Cesare, il Senato si levò Jn piedi, e fecegli grande onore. Ma i compagni di Bruto parte si fermarono dopo la sedia di lui, e parte gli andarono incontra , per far favore a Tullio Cimbro, il quale supplicava per suo fratello sbandito. E così con grandissimi preghi l'ac- compagnarono fino alla sedia. Ma poi ch'egli, «Kiti J<» essendosi posto. aoS^^q,^rìfiutò i preghi loro, e mentre eh' eglin^Op lu^la^y^a con maggiore in- stanza gli venivano addps^o,, C^s^re a un per uno aspramente gli ripr.euf]eva; Tullio pigliando con amendue le mani la .tpga, se la sbrigò dal collo; perciocché quello era il segno di dovere metter le mani addosso a Cesare. Il primo fu Casca, che col pugnale lo feri dietro al collo, ma nondimeno la ferita non era molto grave, né mortale. Perciocché la grandezza dell' im- presa, si come è cosa da credere, l'aveva sbi- gottito. Allora Cesare ferito rivolgendosi, co- m'ebbe preso il pugnale, e tenutolo saldo, gridò in lingua latina: O scelerato Casca, che fai tu? ed egli come l'ebbe ferito, chiamando il fra- tello , in greco disse : Àjutami fratello. Fatto questo principio, tutti coloro, eh' eran quivi, che non sapevan nulla della cosa, rimasero a un tratto sbigottiti, e fuor di loro stessi, tanto che non ardivano né fuggire, né dargli ajuto, neppur dire una .parola. Ma coloro, ch'erano venuti con animo di ammazzarlo, gli erano tutti intorno con le spade ignude, tanto che da o- gni lato, ch'egli si volgeva, si vedeva ferito, e l'armi gli volavano sul volto, e su gli oc- chi; tal eh' egli era appunto, come una fiera fra le mani di tutti. Perciocché bisognò, che tutti fossero partecipi di quello omicidio. La- onde Bruto gli diede una stoccata sotto l' an- guinaglia. Dicesi, che Cesare difendendosi, e «^lM)o qua, e là scagliandosi con grandissime grida, codi' ebbe veduto Bruto con la spada ignuda, si coperse il capo con la vesta. Allora a caso, o che i percussori lo spignessero, cascò a una certa base, sopra la quale era già stata la sta*" tua di Pompeo, la quale fu quasi tutta ba- gnata del suo sangue; tanto ch'egli pareva, eh' essendo a ciò giudice e presidente Pompeo, il nimico suo postogli sotto a' piedi fosse pu- nito da lui, e per la moltitudine delle ferite battesse la terra co' calci: le quali, dicesi che furono venti tre a novero. Dove molti di loro, mentre che davano tante ferite in un corpo solo, si vennero a ferir l'un l'altro. Morto che fu Cesare, ancora che Bruto si fosse fatto in- nanzi , per render conto delle cose eh' egli a- veva fatte, il Senato, senza aspettarlo altri- menti, si fuggi fuor per le porte; ributtando la plebe con tumulto e con dubbioso spavento, tanto che alcuni serrando le case, altri lasciando i banchi, e le botteghe de' cambiatori , fuggi- vano in qua ed ili là; ed altri correvano per vedere il corpo morto, e poi, come l'ebber ve- duto , si levarono di quivi, n o< 153 >D / II. DALLA VITA. DI BRUTO, Ma molti ragionamenti de' suoi amici, e molti cittadini ancora con parole e con lettere, mi- sero su Bruto a fare quest'impresa. Ora, tentando Cassio gli amici ^uoi contro Cesare, essi gli rispondevano: che tutti n'a- vrebbono -acconsentito , con tale condizione , che Bruto fosse capo di questa cosa. Percioc- ché dicevano che ciò non aveva bisogno d'ar- dire, né di mano, ma della riputazione d'un uomo, com'era Bruto; il quale se avesse co- minciato, e pigliata la cosa sopra di sé, ri- putavano d'avere la ragione con esso loro; e s'egli non avesse voluto, gli sarebbono. man- cati gli animi nell' operare, o prima che l'a- vessero fatto, manifestamente sarebbono venuti in sospetto : perché le persone avrebbon fatto questo giudicio,che Bruto non avrebbe mai ri- fiutato d'entrare a compagnia di quell'ifnpressf, quando ella fosse proceduta da onesta cagione. Discorrendo dunque Cassio queste cose fra sé stesso, dopo quella contesa fu il primo a tro- var Bruto, e riconciliati gli animi loro, amo- revolmente gli venne domandando; se egli aveva deliberato di volere essere, in Senato a' quindici TOL. 11. Gin/. Ces, td o< rt4 >o di Marzo: perciocché egli aveva inteso come gli amici di Cesare erano per dargli titolo di Re. Dicendogli Bruto eh' egli non voleva es- serci, soggiunse Cassio: E s'eglino vi ci chia-- massero? UfEcto mio, rispose. Bruto, è non ta- cere, ma difendere la Repubblica, e morire per la libertà. Allora Cassio pigliando animo, disse: A qual Romano sopporterà , che tu muoja per la libertà? Or non conosci tu, o Bruto, te me- desimo? o credi tu forse, che uomini forestieri e meccanici stiano intorno al tuo tribunale, e non i primi ed i migliori di Roma? Dagli altri Pretori aspettano eglino cortesie, spettacoli e. gladiatori; ma da te il debito de' tuoi mag- giori, cioè la ruina de' tiranni: essi sono presti a patire ogni cosa per tuo amore; e solo te aspettano, quale essi desiderano che tu sia. In questo mezzo l'abbracciò e baciò: ed eglino poi partendosi l'un dall'altro, ciascuno andò a trovare i suoi amici con questa intenzione. Era un certo Q. Ligario tra gli affezionati di Pompeo, il quale essendo stato accusato per questo conto. Cesare l'aveva liberato: costui, non gli* rendendo altrimenti grazia per il de- litto, del quale egli era stato assoluto, ma grave- mente sopportando la signoria, per la quale egli era stato accusato, era nimico di Cesare, ed aveva grandissinia famigliarità con Bruto. Ora Bruto essendo ito a visitar costui, ch'era ammalato, gli disse: O Ligario^ e da che tempo ti sei tu o< IW /« ammalato? Ed egli subito rizzandosi snl gomito e pigliandolo per mano, gli rispose: O Bruto, se tu disegni cosa alcuna degna di te, io son sano. Di qui cominciarono èglino a conferire queste cose fra gli amici loro, di cui più si fi- davano, e che di già avevano tentati; né sola- mente fecero scelta de' famigliari , ma piglia- rono anco tutti quelli, ch'essi avevano cono- sciuti pronti, ed arditi al ben pubblico, ed a sprezzar la morte. £ questo fu cagione, che tennero ascoso i| trattato a Cicerone, il quale era fedelissimo e lor grandissimo amico ; ac- eiocch' egli , il quale da natura era poco ani- moso, e per rispetto dell' età s* aveva preso si- mil cautela e con le sue ragioni s'affaticava di tirare ogni cosa al sicuro, non venisse a rom- pere la forza dell'ardir loro; i quali avevano bisogno di prestezza e di fatti. La dignità di Bruto ve ne tirò degli altri, e pur de' migliori, i quali tutti senza essere a- stretti da giuramento, e senza aversi data al- trimenti, né presa la fede tra loro, né obbliga- tosi a cerimonia alcuna, tennero di tal modo questa congiura appresso di loro secreta, che come, che le divinazioni, i sacrifici, ed i pro- digi degli Dei la mostrassero, non vi fu però ninno, che la credesse. Ma Bruto, siccome que- gli, che si era fatto capo e guida d^ una tanta impresa a' primi cittadini di Roma per grandezza d'animo^ per nobiltà e per valore, seco BKsde- o< 19«^» Simo pensando, e considerando ogni pericolò che poteva avvenire, e dimorando nelle diffi- coltà di questa cosa, non potè stare ascoso alla moglie, che dormiva seco; perei occh' ella lo ve- deva tutto pieno di pensieri e di travagli con- tro il suo costume, e eh* egli macchinava fra sé medesimo un disegno di gi*ande importanza, e da non isciorsi cosi tosto. Questa era Porzia , figliuola di Catone; la quale Bruto aveva avuta per moglie da Catone suo zio, non fanciulla, ma vedova, che già le era morto il primo marito; il quale 1* aveva presa fanciulla, e di lei aveva avuto un bam- bino, che aveva nome Bibulo. Leggcsi ancora oggi una certa operetta di questo Bibulo, de' detti e fatti di Bruto. Ora essendo Porzia donna molto savia, e volendo bene al marito, ed ol- tre ciò dotata d'animo grande e prudente, non prima ebbe ardimento domandare al marito i segreti del suo ouore, ch'ella avesse fatta questa esperienza di sé stessa. Perché pigliando un picciolo coltello, col quale i barbieri sogliono tagliar l'unghie, e cacciando di camera tutte le sue cameriere, si fece una gran ferita in uiia coscia, onde n'olisci di molto sangue: e indi poco la ferita le mise addosso un grave dolore ed una terribil febbre. Della qual cosa attristandosi Bruto e molto increscendogliene, allora che il dolore più la stringeva, gli ra- gionò in questo modo: Io, o Bruto, 6gliuola c>< lf7>o di Catone^ fui messa in casa tua, non come ba- gascia, perchè io partecipassi solamente teco del letto e della tavola, ma acciocché io avessi parte teco delle cose liete e delle triste ancora. Quanto appartiene a te, veramente in questo nostro matrimonio non è cosa alcuna che me* riti riprensione; ma io con che segnale ti di- mostrerò r animo mio, e eome potrò ristorarti, se ancora io non sopporto la tua passione, e non soffro i tuoi pensieri degni di fede? Io , so, che la natura delle donne è fragile a rite- nere i segreti; ma io, o Bruto mio, ho. in me. una certa forza di buona Creanza e d' ottima consuetudine oltre l'ingegno naturale; e mi co« nosco essere figliuola di Catone, e moglie di Bruto. Nelle quali cose fidandomi io prima poco, ora ho conosciuto per prova , eh' io non mi lascierei vìncere dal dolore. Dette queste 'parole gli mostrò la ferita, e gli scoperse la pro- va, ch'ella aveva fatta di sé medesima. Allora Bruto spaventato ed alzando le mani al cielo, pregò gli Dei che, riuscendogli valorosamente i suoi disegni, lo facessero riputare marito de- gno di Porzia: e poi amorevolmente confortò la moglie. OvBL essendosi raunato il Senato, dove chia- ramente si sapeva, che Cesare sarebbe ito, i congiurati deliberarono d'assaltarlo. Percioc- ché essendosi eglino allora messi insieme, si riputavano d'essere senza sospetto: oltre di que- <»< 198^ sto credevano di avere dalla loro tutti i mi- gliori, i quali, fatto che avessero T omicidio, subito avrebbon presa la difesa della libertà. Molli altri travagli ancora per un certo caso avvennero allora. La prima, e più importante fu, che Cesare indugiò a venire iu Senato, ch'era grande ora di giorno. Perciocché riu- scendo male i sacriQci,egli era ritenuto a casa dalla moglie; e oltre ciò gl'indovini lo consi- gliavano, ch'egli non andasse fuor di casa quel giorno. La seconda fu : che andando non so chi a trovar Casca, il quale era un de' congiurati, presolo per la mano gli disse: O Casca: tu ci hai nascosi i segreti ; ma Bruto m'ha detto o- gni cosa. Sbigottitosi Casca, colui ridendo disse; E come sei tu fatto si tosto ricco? che tu di- segni di voler esser Edile? Poco mancò dunque che Casca essendo ingannato dal suo parlar dubbioso, non gli scoprisse ogni cosa. Avendo ancora un certo Popilio Lena senatore amo- revolissimamente salutato Bruto e Cassio, dol* cemente e sotto voce favellando, gli disse: Io prego gli D(5Ì, che vi favoriscano ciò che avete nel core; e vi ricordo, che facciate tosto, perchè la cosa si va scoprendo. Così dicendo passò oltre, e mise loro grandissimo sospetto, ch'egli avesse presentito tutto quel negozio. In questo mezzo venne uno correndo da casa a Bruto, facendogli intendere; come sua moglie si mo- •o riva. Perciocché Porzia , dubitando di quel che aveva a venire, né potendo resistere alla gran- dezza del pensiero, a fatica si poteva contenere. Ed oltre ciò, a ogni rumore, a ogni voce, ch'ella sentiva, a guisa d'una sacerdotessa di Bacco, tutta infuriata saltava su in piedi; ed a ognuno che veniva di piazza, domandava quel che Bruto faoeva, e quivi tuttavia ne mandava degli al- tri per ispiai'e ciò che si faceva. E finalmente andando la cosa in lungo, la foi*za di lei non si potè sostenere, e così com'ella era in mezzo la porta, l'assalì uno sfinimento ed uno stupor grande; il colore si smarrì, ed ella perde la fa- vella: perché, veggendo ciò le sue serve tutte gridarono a un tratto. Correndole poi i vicini a casa, sùbito uscì fuora una nuova, e si sparse per tutto che Porzia si moriva. Ma nondimeno ritornando ella sùbito in sé stessa, fu dalle • donne soavissimamente riavuta. Udendo ciò Bruto, tutto stordito, come si conveniva, non perciò lasciò punto l'impresa pubblica, ch'egli aveva alle mani; né corse a casa per il dolore. Già s' intendeva ahcora siccome Cesare ne veniva in lettica; perciocché egli aveva delibe- i*ato per rispetto de' sacrifici infelici , essendo alterato dell'animo, di non fare quel giorno cosa alcuna d' importanza in Senato, ma fin- gendo d'essere mal disposto, differire ogni cosa a un altro tempo. Poiché egli fu uscito della lettica, incontrossi in lui quel Popilio Lena, «<10«>«» il qaale poco dìanti disse che aveva deside- rato a Bruto, e Cassio, che gli Dei prosperas- sero loro ogni cosa, e ragionò un gran pezzo in segreto con Cesare, il qdale con ogni dili- genza e fede l' ascoltava. Laonde i congiurali (per chiamargli in questo modo) non intendendo le parole di lui, ma congetturando, da quello che prima gli avevano udito dire, che colui gli scoprisse il trattato, perdutisi d'animo, si guardarono T un l'altro, confessando chiara- mente nella fronte, come non era d'aspettare di lasciarsi pigliare, ma piuttosto subito mo- rire. Mettendo dunque Cassio, ed alcuni altri le mani sulle spade, ch'essi avevano sotto la veste, poiché l'ebbero valorosamente cavate fuora, Bruto pose mente a' gesti di Popilio Lena , e fece congettura ch'egli non accusava, ma con instanza lo pregava d' alcuna cosa : però non disse nulla, per rispetto di molte altre pei*so* ne, fra i quali egli si mescolava; ma con viso lieto fece animo a Cassio. Quindi poco dipoi avendo Lena baciato la mano a Cesare, si partì, essendo chiaramente conosciuto, ch'egli aveva favellato con Cesare di qualche faccenda che appartenesse a lui o a qualche suo amico. Ora essendosi messi i Senatori a sedere, gli altri si fermarono intorno alla sedia. di Cesare, quasi per volergli ragionare di qualche cosa. Dicesi che Cassio rivolto alla statua di Pompeo, le parlò come s'ella avesse avuto intelletto chia- o» ch'egli fu ferito in una mano, e tutti furon pieni di sangue. Poiché ijesare fu morto, Bruto fattosi in- nanzi voleva arringare , e con le sue persua- sioni, e con isperanza di sicurezza fermare il Senato; ma eglino spinti dalla paura, confu- samente affatto si miseix) in fuga. Onde circa ia porta , senza che ninno gli perseguitasse o cacciasse, facevano confusióne e tumulto. Era strettissimamente ordinato fra loro, di non uc- cidere niun altro fuor che Cesare, ma chiamar ognuvio in libertà. Ma nondimeno tutti gli al- tri, quando si trattava la congiura, avrebbono anco voluto, che si fosse ammazzato Antonio, il <|uale era uomo dispettoso, e favoriva ancora la tirannia; ed oltre ciò accresceva forze a Ce- sare per la pratica ch'egli aveva dell'arie della guerra ; e massimamente , perchè essendo egli da natura altero, ed aspirando a cose grandi, aveva preso il Consolato insieme con Cesare, ed era alloi*a suo collega. Solo Bruto s'oppose a questi disegni, prima fondatosi nell'equità, e poi avendo speranza che Antonio s'avesse a mutare. Perciocché egli sperava, che Antonio, siccome quel ch'era uomo di buona intenzione^ e desideroso di lode, levato via Cesare, fosse pei* accordarsi alla libertà della patria, e per piacela a loro, dovesse concorrere ' con essi al comun bene. Per queste cagioni adunque Bruto salvò la vita ad Antonio. Il quale, in questo •o travaglio mutatosi di vestimenti, si fuggì in a- bito plebeo. Ma quegli ch'erano con Bruto, avendo lui innanzi, bagnate le mani di sangue, e mo- strando le spade ignude, andarono in Capi- tolio, e chiamarono i cittadini in libertà. Da principio dunque e le grida, ed i romori, se- condo che il caso portava ciascuno col dolore, accrebbero il tumulto: ma poiché non fu fatta altra uccisione, e non fu rubato cosa alcuna, molti Senatori, e molti popolari ancora an- darono a trovare questi uomini in Capitolio, Essendo dunque raunato quivi gran numero di cittadini. Bruto fece un'orazione accom- modata a guadagnarsi la grazia del popolo, e conveniente al fatto; la quale essendo lodata da ognuno, ed essendogli detto che scendessero giù del Capitolio, eglino assicurati andarono in piazza l'un dietro all'altro. Bruto fu tolto in mezzo, ed accompagnato da molti uomini gran- di, e molto onoratamente dalla rocca fino in piazza; i quali lo misero su' rostri. Perchè as- saissimi della plebe apparecchiati a far tumulto, corsero quivi a vederlo, i quali cheti e modesti aspettarono il fine della cosa; quando egli venne poi oltre, tutti fecero silenzio. Gonobbesi chia- ramente allora che la morte di Cesare non era piaciuta alla moltitudine. Perciocché* co- minciando Cinna ad aringare e biasimare Ce- sare, molti s'adirarono contro di lui, e di tal o« modo continuarono a dirgli villania, che un'altra volta i congiurati si ricoverarono in Capitolio. L'altra mattina essendosi raunato il Senato, fu molto lodato Antonio, perchè egli aveva le- vati i principj della guerra civile. In presenza d'ogn'uno furono poi date molte lodi a Bruto, ed accompagni a' quali furon divise le provincie; cioè la Creta a Bruto, l'Africa a Cassio, l'Asia a Trebonio, e la Bitinia a Cimbro, all'altro Bruto fu data la Gallia appresso il Po. Dopo questo, essendosi venuto a ragionare del testa- mento e del mortorio di Cesare, e parendo ad Antonio ed agli affezionati suoi, che il testa- mento si dovesse leggere pubblicamente, ed il corpo di Cesare portarsi a seppellire non in segreto, uè senza onore, acciocché per questo gli amici della plebe non si venissero a sde- gnare, Cassio ostinatissimamente gli contrad- disse. Aringo Bruto poi, e lo concesse; ed in ciò fece il secondo errore. Perciocché mentre ch'egli ebbe rispetto ad Antonio, fu cagione di apparecchiare un grave ed invincibile nemico alla congiura ; e lasciando anche che Cesai'e fosse seppellito nel modo che Antonio voleva, rimase ingannato d'ogni sua speranza. Avendo dunque Cesare lasciato per tesata mento a ogni cittadino trecento sesterzi, ed oltre ciò avendo lascititi i giardini, che erano di là dal Tevere, dov'è ora il Tempio di Fortuna, al popolo, gran benevolenza e maraviglioso desidei*io di . I M 3es>o lui entrò nell' animo d^ ognuno. Essendo poi portato il corpo morto in piazza, e lodandolo Atttouio sui rostri, secondo che s'usava, come egli vide che la moltitudine si commoveva alla sua orazione, rivolse il parlare a metter loro compassione di Cesare; e pigliando la vest^ sua tutta macchiata di sangue la spiegò, pubblica- mente mostrando i colpi, e la moltitudine delle ferite. Allora non fu ninno che mantenesse la dignità, né la riputazione sua. Alcuni grida- vano che gli omicidi si dovessero ammazzare: alcuni altri, come di già s'era fatto nel mor- torio di Glodio, tribuno della plebe, pigliando fuor delle botteghe le panche e le tavole, ed ammontandole insieme, fecero una grandissima catasta; nella quale avendo posto il corpo, ab« bruciandolo in mezzo di molti sacri inviola- bili e santi luoghi, lo consacrarono. E cosi to* sto* che s'alzò la fiamma, ora uno, ed ora un altro pigliando i tizzoni mezzo arsi, corsero alle case de' pex'cussori per abbruciarle. Ma costoro ci avevano provvisto prima, e però s' ajutavano a difendersi da quel pericolo. Eravi un certo Cinna, uomo di qualche dignità è considerazione in Roma, il q^jale non si èra travagliata punto in questo omicidio, ma era stato amico di Cesare. Sognò costui d'essere in- vitato a mangiare con Cesare, e rh'egli avea ri- fiutato l'invito; poi gli pareva d'essere pregato, e finalmente sforzato da lui; tanto che ^final- oo mente preso per mano, gli pareva d'esser tirato a un certo luogo grande e bujo, e coutra sua vo* glia andar seco. Perchè avendo egli fatto questo sogno, gli avvenne che quella medesima notte gli saltò un poco di febbre; ma nondimeno es- sendo portato il mortorio di Cesare, preso da vergogna di non esservi presente, si mise fra le brigate, le quali erano già adirate. Essendo dunque conosciuto, e chiamato per nome da alcuno, fu creduto, ch'egli fosse quel Cinna, il quale poc'anzi in pubblico avea detto male di Cesare, e quivi fu tagliato a pezzi dalla moltitudine. Per quésto fatto, dopo la muta- zione d' Antonio , Bruto particolarmente ebbe paura. Uscendo dunque da Roma , prima si fei*mò in Anzio, con animo di ritornare, quanto più tosto la collera della plebe fo$se mollificata o spenta, alla città; la qual cosa sperava che fosse agevole, per rispetto della sùbita e pre- stissima leggerezza del volgo, e oltre ciò per- chè essi avevano favorevole il Senato. • • • • • • • • • »^* In questo mezzo Bruto chiamò Cassio a Sardi ; il quale giugnendo quivi, Bruto gli andò in- contro con gli .amici suoi; e l'esercito armato gli chiamò amendue Imperatori. Ora, siccome suole avvenire nelle cose grandi, ed a molti amici e Capitani, costoro per certe cagioni e calunnie nate, subito innanzi a ogni altra cosa, còme fur giunti quivi^ si ritirarono in una •« certa parte delK alloggiamento; e quivi avendo mandato fuori ognuno e serrala la porta, co- minciarono a dolersi V un dell' altro, e poi a riprendersi, e biasimarsi. Per questo essendo eglino scorsi tanto innanzi che già erano^ ve- nuti a' lamenti, alle lagrime, e all'ardire, gli amici loro si maravigliarono dell'asprezza e suono delle parole, e dubitarono che nou pas- sassero più avanti. Ma non ebbero però ardi- mento d'entrare in camera, essendo stato loro coinmesso, che non entrassero dentro. Nondi- meno Marco Favonio imitatore di Catone, il quale non era tanto filosofo per dottrina eh' e- gli .avesse, quanto per una certa abbondanza e quasi pazzo umore, entrò dentro , ancorché i famigliari non volessero. Perciocché era diffi- cile ritener Favonio, dovunque egli spigneva, essendo egli uomo sempre terribile è precipi^ toso; e riputava per nulla l'esser Senator ro- mano; ma spesse volte con la licenza di filo- sofo cinico, levava la noja, che con la sua im- prontitudine dava altrui. Fu dunque ricevuto con riso. Avendosi egli dunque fatto luogo per forza con le mani, entrò dentro alla porta, e con belle parole s'accostò loro, recitando i versi che Omero finse che usò Nestore, i quali sono questi: 79 Ma cedetemi, prego, perchè voi 5> Troppo giovani siete, e poco esperti. Poi seguendo egli più oltre, Cassio si diede o<2W>o a rìdere, ma Bruto lo cacciò fuor di camera, chiamandolo vero cane e falso cinico : e ciò nondimeno per allora pose fine alle brighe loro, e subito si levarono di quivi. L'altro giorno Bruto essendogli accusato di furto da Sardiani L. Fella cittadino romano , il quale era già stato Pretore « ed in gran credito appresso di lui, lo condannò pubblicamente per infame: la qual cosa dispiacque molto a Cassio. Perciò eh' egli pochi giorni innanzi essendogli stati accusati due amici suoi, e condannati de' medesimi delitti, riprendendogli in privato, pub- b)icamente gli aveva assoluti; e tuttavia si ser- viva di loro. Onde biasimava Bruto, ch'egli fosse troppo austero e severo,- in quel tempo ch'era bisogno usare Umanità e clemenza. Ma Bruto l'avvertiva dicendogli che si ricordasse de' quindici di Marzo, quando essi avevan morto Cesare. Perciocché gli diceva ch'esso non era stato morto, perchè egli desse* noja a tutte le persone, ma perchè egli era appoggio e soste* gno a coloro che ciò facevano. Per la qual cosa, se si poteva lodare alcuna occasione di sprez- zare la giustizia, niei;lio sarebbe stato compor- tare gli ajnici di Cesare, che coloro i quali alla presenza loro commettevano i delitti. Per- ciocché essi sarebbono stati biasimati d'aoimo abbietto, e noi tra i pericoli e le fatiche. tas« sali d'ingiustizia. o< 209 ^ Ora, essendo eglino per partirsi d'Asia, di- cono che a Bruto apparve uno spaventoso prodigio. Dormiva questo uonìo pochissimo, e con l'esercizio e con la continenza si conten- tava di poco sonno. Il giorno non dormiva mai, e di notte tanto appunto, quanto egli non aveva da far nulla, né da ragionare con alcuno, dormendo tutti gli altri. Venendo dun- que la guerra, ed avendo Bruto in mano la somma di tutte le cose , ed oltre ciò impie- gando tutti i sensi suoi nelle cose avvenire, tosto che, dopo cena, la sera gli veniva un poco di sonno, si metteva a dormire; poi il rima- nente della notte spendeva in ispedire i negozj che occorrevano: e se gli avanzava tempo, o gli mancavano le faccende, si metteva a stu- diare fino alla terza vigilia; perciocché intorno a quell'ora i Centurioni, ed i Tribuni solevano venire a trovarlo. Essendo egli dunque per pas- sare con le genti in Europa, là sulla mezza notte, che nel suo padiglione non era lume molto chiaro , e per tutto il campo non si sentiva nulla, stando cosi sopra pensiero, senti venire non so chi alla volta sua; e guardando verso la porta vide un' orribile e spaventosa figura d'un fiero e terribil corpo, che se gli appressò senza far motto. Nondimeno Bruto ebbe ardire di domandarla. Chi sei tu? sei tu uomo o dio? e che vieni tu a far qui ora? Onde quella figura gli rispose sottovoce: Io sono, o Bruto., il tuo TOM. II. GiuL Ces, 14 <»o cattivo genio; tu mi rivedrai a Filippi. Al- lora Bruto senza punto sbigottirsi, rispose: Io ti vedrò. Ma poiché quella figura disparve, chiamò i servidori, i quali gli dissero: come non avevano udito nulla, né veduto imagioe alcuna; perloché egli stette quella notte senza dormire. Venuto poi che fu giorno, fu a tro- vare Cassio, e gli contò questa sua visione. Allora Cassio, fondatosi sulle ragioni d'Epi- curo, come altre volte ancora in questo egh soleva essere differente da Bruto, disse : U o- pinion mia é questa, o Bruto; che noi vera- mente non sentiamo, né veggiamo quelle cose le quali ci pare sentire e vedere. Perciocché ri nostro senso é una certa cosa mutabile, ed agevole a ingannarsi; ed oltracciò l'intelletto é pronto a muovere il senso e di niun soggetto mutarlo in ogni forma. Perciocché l'immagina- zione é simile alla cera. Ma l'anima dell'uomo, Ta quale fi^nge, e parimente ha le cose finte, agevolissimamente può da sé medesima variare e comporre una cosa. Questo si vede per le mutazioni de"^ sogni, le quali in breve tempo dalla fantasia dell'uomo sono volte in diverse passioni e specie d'immagini. Cosa naturale del- r animo nostro é il muoversi sempre. Ed il muto é fantasia, o una certa intelligenza. Ed il corpo che tu hai, o Bruto, malinconico da natura, t'innalza e divertisce l'intelletto. E si ha da credere che in alcun moda non ci siano •<2tl>o demoni; e se pur vi sono, essi non hanno forma d'uomini, né voce,^ né potenza, la quale passi a noi. Quanto volontieri, o Bruto, vor- rei io che questo fosse, che non solo ci confi- dassimo in armi, in cavalli ed in navi; ma nel favor degli Dei ancora, essendo noi autori , e capi d'una bellissima e santissima impresa. ^ Con questi ragionamenti Cassio confortò tutto Bruto. Ora, come i soldati cominciarono a mar- ciare sotto le insegne, due aquile con grande impeto passando appresso il campo, volarono, e fino a Filippi furono di continuo pasciute da' soldati; onde quel dì che fu innanzi alla giornata, parve che si dileguassero e non fu- rono più vedute. Ora Bruto si aveva già sot- tomesso molti popoli vicini a questi luoghi. E se qualche città, o signorotto era stato da lui passato, allora tutti vennero alla divozione. di Cassio e di Bruto, fino al mare, che contiene l'isola di Thasso. Accampandosi eglino poi ap- presso a Norbano, per iscacciarlo con qualche stratagemma da quei luoghi, che sono aspris- simi e stretti, chiamati volgarmente Steni; i nemici gli vennero ad assaltare, ed eglino si difesero e gli misero in fuga. Nella qual batta- glia non si essendo trovato Cesare Ottavio, per- ché era ammalato, poco mancò che Bruto non pigliasse l'esercito; se con l'ajulo e con iucre- »< 212 >c» dibil prestezza Antonio non gli avesse soccorsi contro Bruto, e gli altri niinici. Di là a dieci giorni venne poi Cesare ancora; si che Bruto ordinò il suo campo contro Antonio, e Cesare contro Cassio. La campagna, eh' era in mezzo di loro, si chiamava Filippi. Quivi dall'una e l'altra parte si radunarono insieme le forze de'Romani. Purgarono poi, come s'usava, l'e- sercito alla campagna , e compartendo a cia- scuno per li sacriBci, secondo gli alloggiamenti, il grano che se gli veniva e cinquanta denari, con la benevolenza e desiderio di combattere, se gli fecero molto più. affezionati. Nondimeno in questa purgazione del campo, dicesi, che a Cassio incontrò una certa sciagura. Perciocché un littore gli porse la ghirlanda volta sotto- sopra. Dicesi , che pi^ima ancora in un certo spettacolo , una statua d* oro della Vittoria , mentre che gli era portata, cadde in terra, in- ciampando colui, che l'aveva in mano. Oltre ciò molti uccelli, che vivono di carne, si vi- dero di giorno per il campo. Uno sciame di pecchie ancora si fermò intorno a un certo luo- go dentro allo steccato, il qual luogo gli àu- guri mossi da superstizione chiusero fuor de- gli alloggiamenti, per levare il sospetto, il quale aveva già occupati gli animi de' soldati. E di questo anche Cassio si fece beffe per le ragioni di Epicuro; ma i suoi soldati si sbigottirono af- fatto. Laonde Cassio allora mal volontieri ve- «><313>o niva a giornata, ma consigliò che i soldati, perchè diceva che erano pi\i ricchi d'oro ed inferiori di numero a' nemici, s'andassero trat- tenendo senza combattere. Ma Bruto sollecitava, che la cosa tosto si finisse, acciocché presta- mente o la libertà della patria s' espedisse da' nemici, o tutti gli uominr, i quali erano ti*a- vagliati dalle spese della milizia e dalle gra- vezze, si liberassero da queste miserie. E aveva egli allora preso migliore animo, perciocché i suoi cavalli nelle scaramuccie e ne' primi as- salti s'erano portati bene, e n'erano iti col meglio, mentre ch'egli più si rincorava, alcune ribellioni a^ nemici e calunnie e sospetti nac« quero in campo. Ma tosto che *fu fatto giorno, neir uno e nell'altro campo di Bruto e di Cas- sio fu posto il segno della battaglia, ciò fu una vesta rossa; ed eglino «i trovarono in- sieme nel mezzo del campo. Disse allora Cas- sio: Dio voglia, o Bruto, che noi possiamo vincere, e congiungerci insieme per ogni tempo in suprema felicità. Ma perchè le eose gran- dissime di questo mondo per lo più sono in- certe e fuor della credenza nostra, campando di questa battaglia non é cosa molto facile, che noi ci riveggiamo un'altra volta insieme; però dimmi: che risoluzione hai tu fatto? o di voler fuggire, o di morire? Quivi rispose Bruto: Quando io era ancora più giovane, o Cassio, e manco pratico delle cose di questo *• benissimo ancora la fanteria, i soldati d'Au- tonio fecero uno steccato verso le paludi, dove essi avevano posti gli alloggiamenti, e così chiusero il passo a Cassio verso la marina. Le genti eli Cesare, perch' essendo egli ammalato non era allora o Fecesì poi grande uccisione eli coloro che furono colti negli alloggiamenti: tra i quali furono ta- gliati a pezzi due mila Lacedemoni, i quali erano nuovamente venuti in ajuto di Cesare; per- ciocché essi non accerchiarono le genti di Ce* sare, ma spignendo innanzi per diritto facil- mente gli spaventarono e misero in fuga; ed avendo ammazzate tre legioni, col medesimo ìmpeto di vittoria entrarono insieme con coloro.* che fuggivano dentro agli steccati: e fra loro era Bruto. p Ma le cose di Cassio eran passate di questo modo: ne Cassio vide volentieri la prima en- trata de' soldati di Bruto, perché senza segno e senza commissione s'erano spinti contro i ne- mici; né anco gli piacque, ch'essendo eglino vincitori sùbito fossero corsi a rubare, ed a* guadagnare, non curandosi di circondare i ne- mici. Non gli piacendo dunque punto le cose che si facevano, e volendo piuttosto trattenersi che usare consiglio e forza, fu tolto in mezzo dal destro corno de* nemici. E sùbito ch'egli vide inchinare la cavalleria, e disegnare di fug- gire in verso la marina, tentò di fermare an- cora la fanteria, la quale stava per volgere le spalle; e strappò di mano l'insegna a un sol- dato che fuggiva, e se la piantò innanzi a'piedi. E non istando volentieri saldi i soldati, i quali erano posti a guardia della sua persona, Cassio costretto con alcuni pochi, si ritirò sopra un -»< iti >a certo poggio rilevato, onde sì poteva vedere il campo. Ma egli quivi non vide altro fuor che gli alloggiamenti suoi presi da' nemici; percioc- ché egli aveva un poco corta la vista. Ma si vedevano bene di molti cavalieri, che venivano alla volta sua; questi erano quelli che Bruto nuovamente avea mandato in soccorso di lui. Dove Cassio credette che fossero mandati da' nemici a perseguitarlo; nondimeno mandò in- nanzi un di coloro ch'eran seco, che avea nome Titinio, il quale intendesse ogni cosa. Andando dunque costui, sùbito fu veduto da' cavalieri, che veniva; i quali come lo videro, e conob- bero eh' egli era amico e fedele a Cassio, si rallegrarono tutti; e così salutandolo scesero da cavallo e gli toccarono la mano. Alcuni altri, andandogli intorno con grande allegrezza e festa cantarono una canzone , onde furono autori d' una grandissima sventura. Perciocché Cassio veramente pensò che Titinio fosse ^tato preso da' nemici, e poiché egli ebbe detto: Dun- que abbiamo noi potuto vedere per nostra sa- lute un nostro amicissimo esser preda da' nemi- ci? dolente si ritirò in uu certo padiglione, me- nando seco un de'suoi liberti chiamato Pindaro, il quale, dalla ruina di Crasso, avendolo bene instrutto a siffatto servigio, si avea riserbato iu questi estremi casi. Allora Cassio, copren- dosi il capo col mantello, e scoprendo la gola si fece ammazzare. Fu trovato il suo capo spic- TOM. II. Giul Ces. 14* ._ I •• sere circondalo, conducendolo i Capitani con* tro ai nimici, perciocché egli era più breve di numero , sì divise per mezzo ; onde essendo fatto più debole non potè resistere agli avver- sar] , ma al primo si mise in fuga. Allora i nemici, ferendolo ed ostinatissimamente perse- guendolo, circondarono Bruto. Ma egli allora in così grave e pericolosa fazione e con le mani e con l'intelletto fece tutto quel che si poteva fare di valore per un Capitano generale e per un soldato. Ma quel che nella prima giornata gli era giovato, in questa l'oifese. Perciocché allora tutti i nemici ch'erano vinti, sùbito fu- i*ono morti, ed oltracciò de' soldati di Cassio messi in fuga, pochi ne furono ammazzati. Gli altri vinti come anco dianzi erano stati, pieni di paura, riempierono il rimanente dell'esercito di tumulto e di spavento. Ma in questa bat- taglia, oltre gli altri, il figliuolo di M. Catone, fra gli ottimi e generosi giovani stanco com- battendo,' non fuggi altrimenti, né s'arrese per vinto, ma valorosamente menando le mani, e dicendo chi egli era, e di cui figliuolo, mori in mezzo d'assaissimi corpi morti. Morirono an- cora degli altri valorosissimi soldati, i quali per amor di Bruto si misero in ogni pericolo. Fra gli amici di Bruto v'era una certa persona molto da bene, il quale avea nome Lucilio; costui veggendo alcuni cavalli barbari, che in perseguitare non tenevano conto alcuno d^li «o altri, ma con gran furia solo andavano addossa a Bruto, deliberò con suo pericolo quanto piut- tosto farsegli incontro per impedire il disegno loro: lasciato dunque loro un poco, poiché si gli fu un'altra volta fatto innanzi, disse ch'e- gli era Bruto. Coloro se'l credettero, percioc- ché esso gli pregava, che lo menassero ad An- tonio; perché egli avea paura di Cesare, ma bene aveva lieta speranza in Antonio. Onde coloro, abbracciatolo stretto e riputando di a- vere fatta una ricca preda ed acquistato una grandissima ventura, facendosi già notte, lo con- dussero ad Antonio, mandando innanzi alcuni di loro, i quali glielo facessero intender prima. Perché Antonio, di ciò molto allegro, fecesi in- contro a coloro che lo conducevano, ed alcuni altri ancora, intendendo come Bruto era preso, corsero per vederlo. Costoro avevano compas- sione al caso di fortuna : altri lo biasimavano nell'onore, dicendo che per desiderio di vivere si fosse fatto preda di barbari. Ora mentre ch'ei s'appressava, Antonio si fermò pensando fra sé medesimo, come egli aveva a ricever Bruto. £ssendo dunque Lucilio menato innanzi ad Antonio, con animo ed ardir grande, disse: Ninno, o Antonio, ha preso Marco Bruto; e cessi Iddio, che alcun nemico suo Io faccia pri- gione; acciocché la fortuna non sia vittoriosa di tanto valore, quanto è in lui; ma ó egli si troverà vivo, o morendo avrà fatto il debito o SUO. Io, ingannando i soldati, ti son venuto in- nanzi, non per questo rifiatando tli patire cosa alcuna per grave che sia. Avendo Lucilio detto queste parole, ed essendo tutti gli altri sbigot* titi, Antonio si volse a coloro che l'avevano menato, dicendo: Io son certo, o soldati, che voi avete mollo per male questo errore, paren- dovi d'essere uccellati; ma sappiate, che voi .a- vetc fatto molto miglior caccia. Perciocché men- tre, che voi cercate un nemico, voi m'*avetc me- nalo un amico. Perchè io non saprei per Dk) quel ch'io m'avessi avuto a fare di Bruto vivo; ma voglia Dio, ch'io* pigli piuttosto di questi amici 5 che dei nemici. Poiché Antonio ebbe dette queste parole, abbracciò Lucilio, e lo raccomandò a uno de' suoi famigliari. E poi di continuo si servi di lui, e lo provò per fedele e diligentissimo in tutte le cose. Ora Bruto, passando un certo fossato d'ogni parte pieno d'alberi e dirupato, essendo già notte buja, non andò molto innanzi, ma sedendo in una grotta, la quale aveva dinanzi un gran sasso, in presenza di pochi amici suoi e condottieri dell'esercito, e prima guardando verso il cielo stellato, recitò due versi, l'uno de' quali Vo- luninio lo scrisse: )) Ciò sappia Giove ^ e chi è di ciò cagione. L'altro verso dice, che se lo scoi*dò. Poco di poi, ricordando a un per uno gli amici, i «»o qujili erano morti nella battaglia per difender lui, sospirò molto, ricordandosi di Flavio, e di Labeone. Era Labeone suo luogotenente, e Fla- vio presidente degli artefici. Venendo poi la notte, Bruto si pose a sedere cosi com'ei potè, e s^accostò a Olito suo servidore, e favellogli. Il quale tacendo e piangendo, chiamò a sé Dar- dano scudiere, ed ebbe certi ragionamenti con essoIui« E finalmente con certe orazioni ed e- sempj in greco, consolando esso Volumnio, lo pregò ch'egli mettesse mano alla spada, con la qu£tle egli era per iscannarsi, e gli ajutasse a far il colpo. Ma Volumnio tentò di levargli questo crudel pensiero della fantasia; ed il me- desimo s'ingegnarono di fare ancora gli altri. Ma dicendogli un certo de' primi come non bisognava star più quivi, ma fuggire, levan- dosi su Bruto disse: Certo s'ha da fuggire non co' piedi, ma con le mani. Mettendo poi le mani sopra ciascuno molto amorevolmente, disse com' egli sentiva grandissima allegrezza , che ninno degli amici suoi gli aveva mancato di fede; ma egli si doleva della fortuna della pa- tria; e ch'egli si riputava molto più felice che i suoi vincitori; né pur jeri né l'altro, ma ora, e tuttavia lasciando gloria di virtù, la quale i vincitori né con l'armi, né con denari erano per ispegner mai. Perciocché per mio avviso, diceva egli, gl'iniqui ammazzano i giusti, i pes- simi ed i buoni, e signoreggiano contro le leggi, <»o era slata rubata, fece morire il ladro: e mandò le reliquie a Servilia madre di Bruto. Nicolao filosofo,, e Valerio Massimo raccontano che a- vendo Porzia moglie 'di Bruto deliberato di morire, e non essendovi ninno degli amici, che v'acconsentisse, anzi tutti con ogni diligenza e cura glielo vietavano, tolse di sul fuoco bra- gie accese, poi se le mise in gola, e chiuden- do la bocca si mori in questo modo. Pur si ritrova una certa lettera di Bruto a' suoi pa- renti , il quale si duole e lamenta molto di loro, che avessero avuta sì poca cura di Por- zia , che ella s' avesse eletto di finire la vita sua d'infermità. Parve adunque, che Nicolao non sapesse il tempo; poiché la lettera, s'ella è pur vera, gli potè far conoscere e la passione e l'amore, e il modo della morte della donna. FINE ERRATA-CORRIGE^ PIEL VOLUME PRIMO' AMLETO a pa'g. tfrr V. 4 Parato — Legato >r 135 " 10 avvantaggio — mercede j> 136 99 6 campidoglio — Campidoglio jr 140 99 16 destre stringeano — palme congiunte 99 id. >ri7 E fean — Facean >r 144 99 15 ne può — ci può n 184 n 4 A lui d'intorno a lui — A lui d'intorno n 204 » 7 così si — COSÌ ti >» 219 « 8 per — pur 99 248 >ri8, festa — testa